Joh Mirisola, Micah Wilson, Michael Foye e Jared Deame sono le menti che hanno dato vita ad uno dei progetti Post-Rock più promettenti degli ultimi tempi. Sto esagerando? Non credo proprio, perché questi Glass America, originari del Massachusetts (per la precisione, di Wenham, vicino a Boston) sembrano brillare di una luce propria che potrebbe condurli verso un meritato successo.
I 4, sotto contratto con la Driven Records, con la quale hanno prodotto l'album del 2008 intitolato “Redivivus”, si dedicano ad un caldo Post-Rock che risente della musica Ambient e di quel genere denominato Americana che sembra aver contraddistinto gli ascolti adolescenziali di questi promettenti musicisti. Sulla loro pagina Facebook dicono di apprezzare band come Sigur Ros, Caspian, Anathallo. Tutta roba che di sicuro li ha influenzati, ma non si pensi ad un tentativo di scimmiottamento a destra e a manca: i Glass America hanno un bello stile personale, intimo, avvolgente.
Ascoltando “Darkly EP” ci si rende conto che siamo di fronte ad un gran lavoro sentito, fatto col cuore, ben architettato, dove nulla è lasciato al caso. I 4 brani sono estremamente coesi tra loro, formano un unicum indivisibile godibile al massimo proprio se ascoltato tutto d'un fiato. I pezzi sono presentati in quest'ordine: “Entropy”, “Still”, “Swell” e “Cauda, a Reprise”. Non è una scaletta casuale, come detto tutto è organizzato sapientemente; con “Entropy” i 4 ci catapultano nel loro mondo un po' angoscioso in maniera progressiva, partendo piano e poi dando libero sfogo a chitarre e batteria in un finale che può far gridare al capolavoro. La voce è molto dosata, centellinata quasi, sia in questo pezzo che nel successivo “Still”, altrettanto bello e poetico. A farla da padroni sono gli strumenti, che anche senza essere tanto appoggiati dal mezzo canoro riescono ad esprimere brillantemente il messaggio che sta a cuore ai Glass America: nonostante tutte le circostanze difficili della vita, c'è sempre una speranza.
“Swell” è un brano esclusivamente strumentale che non fa comunque perdere un colpo all'album ma che anzi continua alla perfezione il lavoro dei primi due pezzi e dà lucentezza ad un'opera che nell'insieme fa venire in mente le spiagge americane quando tira vento, alla sera, magari proprio quelle da dove i Glass America provengono, quelle zone vicino Boston sconosciute e ignorate da chi cerca i fasti delle grandi città . “Cauda, a Reprise”, last but not least, è il coronamento acustico perfetto del disco e fa sentire questi 4 ragazzoni d'Oltreoceano un po' più vicini a noi, come se ci tendessero una mano amichevole per mezzo di note intime, affettuose, che fortunatamente sanno di un “arrivederci” e non di un “addio”. (E vi faccio uno scoop: mi hanno scritto in un commento su Facebook che a breve uscirà il loro secondo disco).
Ispirati e insperati Glass America, io tifo per voi e non credo di essere il solo.
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