Glass Hammer è una progressive band americana proveniente da Chattanooga, Tennessee, che sforna album con una certa regolarità fin dal 1992 con una formazione che ha subito continui cambiamenti, ma sempre ruotando intorno al duo Fred Shendel (tastiere, chitarre e voce) e Steve Babb (basso e voce).
L’album IF, undicesimo della loro prolifica produzione, fa parte della trilogia del periodo con Jon Davison alla voce, che di lì a poco migrerà negli Yes per sostituire il cagionevole Jon Anderson (anche se non è ben chiaro se la sostituzione sia stata causata da motivi di salute di Jon, o dalle sempre presenti bizze dei vari componenti degli Yes), e comprende il citato IF (2010), il seguente COR CORDIUM (2011) e il successivo PERILOUS (2012).
Diciamo subito che sono tre album assolutamente “progressive oriented”. Se non siete amanti del genere, come si dice in questi casi, fermatevi qui! E aggiungo che anche per i più scafati potrebbe restare un disco ostico, complesso, poco orecchiabile. Rispetto alla precedente produzione, sono abbandonati i temi tolkieniani (vedi gli esordi con JOURNEY OF THE DUNADAN) e anche i temi nostalgici medievaleggianti di THE INCONSOLABLE SECRET, tra l’altro uno dei loro album migliori. Qua, signori, si va giù duri e puri.
E’ come se i nostri prodi (Babb e Shendel) avessero finalmente trovato la formazione perfetta per fare quello che più gli piace. Si intende: niente di nuovo sotto il sole, ma è come se i Glass Hammer si siano spinti la dove anche gli Yes avevano paura di andare. Non solo armonie dissonanti e controtempi, non solo tempi dispari, stacchi e obbligati. Anche la costruzione del brano salta la tipica costruzione strofa - ritornello col bridge dopo le prime due ripetizioni. Insomma libertà compositiva totale, nel rigore della esecuzione più precisa e nella completa assenza di orpelli non necessari. Niente effetti speciali, niente space rock o ammiccamenti blues. Solo neo progressive suonato con passione, e con i suoni giusti; sopra tutti l’Hammond di Shemdel e il Rickenbacher di Babb. Anche i compagni di viaggio sono quelli giusti: le chitarre di Alan Shikoh, la batteria di Randall Williams (ma come fa a suonare tutti quegli stacchi?) e soprattutto la voce di Jon Davison, che pur se nello stesso registro di Anderson, è molto più fredda, precisa e adatta alle composizioni di Babb e Shendel.
Ho amato questo disco. Non l’ho apprezzato subito, ma i ripetuti ascolti nell’estate del 2011, specie verso sera durante una vacanza nel Gargano, mi hanno permesso di scendere in profondità dentro la sua complicata ed affascinante costruzione. Le mie composizioni preferite sono l’opening di Beyond, Within per il suo “tiro” secco e potente, molto bella anche Behold, The Ziddle, soprattutto la parte finale più lirica ed emozionante, e la finale If The Sun, 24 minuti di prog come si deve.
Un gran disco, a parer mio, adatto al progger sempre affamato e mai sazio del suo cibo preferito. Per chi si lancia nell'ascolto: buona abbuffata!
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