Avevo dimenticato i Glasvegas fino a quando RockTV non ha rimesso in circolo qualche loro videoclip, e la prima cosa a cui ho pensato è come la band scozzese voglia riprendere lo stile Depeche Mode nel look ancor più che nella musica, ma dopo l'ascolto del presente "Euphoric Heartbreaker" posso affermare che il gruppo capitanato dall'ex calciatore James Allan, non è solo una band di emulazione, e che dopo un omonimo disco di esordio di buon livello, ha saputo confermare le sue qualità.
Cercando informazioni sulla band, sottolineo il presunto tentativo di suicidio da parte di J.Allan, e quindi il conseguente legame con quello che sarebbe il disco della rinascita, è più che evidente, specie nello spirito con cui esso è stato scritto. Non è un caso che la apertura strumentale spetti ad una traccia titolata "Pain Pain, Never Again", preludio che apre al primo vero pezzo dell'album. "The World Is Yours" (nella soundtrack del videogame Fifa 12) sorprende per freschezza e creatività, con forti richiami all'indie (e a qualche canzone dei The Killers, "Human" su tutte), e al grigio alternative rock britannico, come del resto per gran parte del disco. Ottimo l'incidere melodico della traccia "You", come ottime sono le melodie del singolo "Shine Like Stars" che in queste settimane sta trainando le vendite dell'album. Sostanzialmente non ci sono forti perdite di qualità, tracce come "Whatever Hurts Trough You The Night" e "Dream Dream Dreaming" sono molto apprezzabili e ben condite da effetti 'synth'. Non manca neanche l'affronto di tematiche importanti come la presa di posizione a favore della sfera omosessuale di cui Allan probabilmente fa parte, come si evince nelle tracce "Stronger Than Dirt" e nella pacatissima "I Feel Wrong".
Il primo singolo "Euphoria, Take Me Hand" (con un titolo che conferma la mia tesi sulla voglia di rinascita) è tra i brani migliori del disco, più vicino al Synth Pop che all'Indie. Nel complesso la nota negativa che si può evidenziare è un potenziale effetto soporifero in caso di non attitudine a ritmi molto pacati e a tratti un pò blandi, seppur ciò coincide anche con una personalizzazione del disco, che appare poco infettato dallo strafare delle case discografiche, che negli ultimi anni ci hanno abituato ad una nociva contaminazione di diversi potenziali buoni dischi. Senza entrare troppo nello specifico, rimango sorpreso come diversi movimenti della 'british music' considerati morti o morenti, sono in realtà vivi e vegeti. Per paradosso sono forse controproducenti i proclami di giornali e riviste che osannano in prima pagina lavori come il presente come potenziali capolavori o nascita di superstar.
I Glasvegas non sono delle superstars e probabilmente non lo saranno mai, ma alla luce di questo secondo buon lavoro, dicono la loro in un terra a loro cara, patria del loro stesso stile.
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