Sangue ed anima, passione e spiritualità.

Glenn Hughes, “The Voice of Rock”, è questo e molto di più.

Il tempo sembra non passare per questa icona del rock. La sua inconfondibile ugola non sembra aver perso nulla della potenza e dell’estensione che già vantava negli indimenticabili anni settanta. Periodo nel quale il nostro, poco più che ventenne, si fece dapprima conoscere ed apprezzare nei Trapeze per poi trovare il successo a livello mondiale nella “Mark 3” dei celebri Deep Purple. 

All’apice del successo, la vita e la carriera di Glenn subiscono un’improvvisa sterzata. Tutto comincia con la tossicodipendenza e prosegue con lo scioglimento dei Deep Purple. Ma il colpo di grazia arriva con la morte dell’anima gemella ed eccellente chitarrista Tommy Bolin, compagno di (dis)avventure nell’una e negli altri. 

Il nostro ci mette un decennio per liberarsi dallo spettro della droga e per riprendersi definitivamente. Gli anni ottanta infatti saranno costellati da innumerevoli e a volte anche pregevoli collaborazioni (Pat Thrall, Black Sabbath, Gary Moore), ma Glenn non riesce a ritrovare una propria identità. Gli anni novanta invece rappresentano la rinascita, dell'artista e dell'uomo, e dopo due buonissimi dischi solisti come “Blues” e “From Now On”, nel 1994 arriva il leggendario “Burning Japan Live”.

Il disco perfetto, dove Hughes dimostra di essere in uno stato di forma straordinaria e che il tempo l’ha certamente segnato nell’anima e nel fisico, ma non ha intaccato il suo dono più prezioso. Il suo timbro caldo e ricco di sfumature "soul", che giostra tra una incredibile serie di virtuosimi vocali, melismi e gorgheggi, passando dalle tonalità più basse a quelle più alte, dai vocalizzi più intimisti a quelli più rudi, senza il minimo apparente sforzo. Una band di tutto rispetto lo accompagna: gli ex-Europe Mic Michaeli alle tastiere, Ian Haugland alla batteria e John Leven al basso; insieme a due semisconosciuti ma talentuosi chitarristi svedesi tali Eric Bojfeldt e Thomas Larsson. Le canzoni di questo disco mescolano tutta la cifra artistica di questo eclettico musicista, dal rock al blues, dal soul al funky, una miscela esplosiva accesa da un grande feeling.  

E quindi è subito “Burn”, opener e grande classico dell’era Deep Purple, eseguita in modo impeccabile sia dal punto di vista strumentale che in particolar modo da quello vocale. Il disco prosegue con alcune song tratte dal precedente disco “From Now On”, in particolare la title-track e “Into The Void” risultano davvero ispirate. Ma Glenn pesca anche dall’ottima collaborazione con Pat Thrall del 1982, il mid-tempo “Muscle And Blood”, la splendida e melodica “Coast to Coast”, nella quale Hughes dà il meglio delle proprie capacità vocali, e la più ritmata “I Got Your Number”. L’apice emotivo del concerto però arriva con l’accoppiata “This Time Around” e “Owed To G” tratte da “Come Taste The Band”, meraviglioso quanto sottovalutato disco dei Deep Purple. L’introduzione dedicata all’amico Bolin è commovente, l’esecuzione spettacolare. Non ci sono parole.

Il gruppo propone altri classici dei Deep Purple (“Lady Double Dealer”, “Gettin’ Tigher”, “Stombringer”) e in particolare l’intramontabile “You Keep On Moving”, che tra l’altro è il mio pezzo preferito della band. Introdotta da un lungo tappeto di tastiere sulle quali Glenn dà sfoggio delle proprie abilità canore e improvvisa un testo inventato. Se la canzone combatte tra melodia ed esplosioni ritmiche, la performance è da brividi e il pubblico giapponese viene coinvolto dal frontman in una parte del brano.

In definitiva questo è uno di quei dischi live che ogni appassionato di musica rock dovrebbe possedere, di un artista sopravvissuto al tempo e che a tutt’oggi, alle soglie dei sessant’anni, continua a sfornare dei dischi validi e prestazioni live indimenticabili. Personalmente l’ho visto suonare nel 2005 a Roncade (TV) nel tour promozionale del disco “Soul Mover” e ne sono rimasto impressionato.

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