Sarebbero sufficienti gli oltre cento minuti di durata per validarne il titolo, ma credo che il nome firmi piuttosto l’ascolto con una metaforica immagine della mente; il disco rappresenta per la parabola Gnod una sublimazione dei loro eccessi musicali da rock inacidito ad elettronica astratta nell'espressione; i brani sono costellazioni di umori, segnali e voci estemporanee su ritagli di suoni elettronico-abrasivi. Il lavoro è nella sua interezza un’opera immensa, estenuante da consumare tutta d’un fiato, per questo mi sento di suggerire a grandi gocce:

Control Systems ad aprire, serpeggia tra circuiti fino a mutare in immagini diametrali, da bucolica aurora a noir metropolitano;

Desire mastica grumi di elettroni, si accavalla su sé stessa, pulsa psicotica ed ossessiva costruisce puzzle di cieli grigi;

Breaking the Hex ha in sè un gran bel momento, lascia esprimere il signor jazz, sovente il più ubriaco della festa, stavolta sfigurato e triturato tra rumorismi;

Infinity Machines scorre in una allungata chiusura, techno di un altro pianeta, e da buona traccia titolare è tra i più nostalgici fori stenopeici dell’ascolto.

Ogni episodio è raffigurato da una estraniante suite di suoni che frantumano, esplorano ed emarginano la mente in una musica che risuona come un’analisi cerebrale. Non dubito che qualcuno se lo magnerebbe in un boccone, e ci mancherebbe, mai dire mais, ma una proposta in triplo-spossante-vinile forse marca troppo l’ambizione per questa pregevolissima musica cibernetica e multi sensitiva. Un vaso da cui attingere se di passaggio, magari ad occhi chiusi, a me è piaciuto così.

LP

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