In via generale non me ne frega un cazzo di questo tipo di definizioni. Faccio fatica a stare dietro l'entusiasmo delle varie riviste specializzate, siano queste Pitchfork oppure Rolling Stone, per quella che è ogni volta la 'next big thing'. Tuttavia, quando tre o quattro anni fa, usciva il primo disco dei Goat, non ho potuto fare altro che convenire che questi critici avevano veramente ragione. Stavo finalmente ascoltando qualche cosa di nuovo e di così grande e diverso da tutto quello che tutti noi appassionati di neo-psichedelia ascoltiamo di solito.
I Goat si sono presentati sin dal primo momento come una band eccentrica e originale e con qualche cosa di misterioso. Non mi riferisco solo ai contenuti della loro musica. Le loro identità sono una specie di mistero. Di base a Goteborg, Svezia, dichiarano di provenire da Kopilombolo, località che ha una antica tradizione per quella che è la storia del culto voodoo, dato che pare una volta vivesse lì un potente stregone. Questo succedeva prima dell'arrivo dei crociati cristiani, che distrussero e rasero al suolo il villaggio. Le perosne che sopravvissero all'eccidio fuggirono e lanciarono una maledizione sulla città.
Prendete questa storia come vi pare, ad ogni modo la loro musica stessa appare costituire una speciale alchimia fatta di riti voodoo e piena di contenuti esoterici. La loro musica è di conseguenza inevitabilmente accompagnata da caleidoscopiche e allucinanti e visionarie esplosioni di colori e di immagini che rimandano a culture e luoghi lontani nel tempo e nello spazio. Qualche cosa che non è ricorrente nella neo-psichedelia 'drone' suburbana di oggi e neppure in qualche modo nella psichedelia degli anni sessanta, per lo più devota a contenuti derivanti dalla cultura e dal pensiero religioso orientale e dalle loro profonde tradizioni e scuole di pensiero. Il loro processo di songwriting non ha nulla di cerebrale, ma è un atto primordiale, istintivo. Praticamente questi loro incontri 'creativi' non sono finalizzati alla realizzazione di canzoni, ma semplicemente a fare musica. Le loro canzoni in qualche modo non hanno mai una vera e propria fine e quando infine entrano in sala di registrazione, ogni volta non sanno mai come andrà a finire.
'Requiem' (come i dischi precedenti) è un disco che gli stessi Goat definirebbero effettivamente come 'world music', perché tante sono le influenze nel sound della band e perché questi continuano ad approcciarsi alla musica con uno stile 'multi-etnico', combinando assieme tutta una serie di elementi folkloristici apparentemente lontani tra loro e alla ricerca di una radice comune. Definito tra le altre cose come il loro album 'folk', 'Requiem' rinnova la collaborazione della band con la Rocket Recordings (anche se una speciale edizione limitata è stata pubblicata dalla Sub Pop Records - ho il sospetto sia già sold-out, ma buttateci un occhio nel caso). Sinceramente, devo dire che se il secondo disco mi era sembrato una ripetizione di 'World Music', questo qui mi ha veramente sorpreso: i Goat qui si sono spinti nella sperimentazione di diversi generi e sonorità come non avevano mai fatto prima.
Il disco comincia con una specie di invocazione ai misteriosi contenuti della magia voodoo e alle antiche divinità della mitologia africana, dei che esistevano già all'alba dei tempi ('Dj r Len / Union of Sun and Moon'), prima di aprirsi in un impazzimento di folk latino-americano nello stile della musica cilena, quello degli Inti Illimani praticamente.
Carico di visioni e sapori di ogni parte del mondo che invadono i nostri sensi e prendono il possesso dei nostri corpi, veniamo coinvolti in un rito magico subliminale, un'orgia fatta di suoni e di persone. Una fottuta e schizofrenica, impazzita sessione terapeutica, dove ognuno si alza per dira la sua e apparentemente pronunciando parole prive di senso e che invece appaiono essere perfettamente chiare a tutti gli altri che vi prendono parte.
Il disco mostra tutte le abilità della band, che si muove con disinvoltura da un genere all'altro, ma sempre mantenendo un filo comune in tutte le tracce. 'Goodbye', 'Try My Robe' si ispirano chiaramente alla musica occidentale africana e in particolare a quella del popolo tuareg e del deserto del Mali, al tishoumaren e a quella band gigantesca che sono i Tinariwen. 'Troubles in the Streets' mi ha fatto addirittura pensare a una band che personalmente considero incredibile - per quanto purtroppo non celebrata quanto invece meriterebbe - cioè la Dur-Dur Band di Mogadiscio, Somalia, un gruppo che in tempi e località non sospette riusciva a mettere assieme funk, soul e musica disco e che in qualche modo considero idealmente proprio un precursore dei Goat. Anche se il campionaio di questi ultimi è veramente vasto. 'Psychedelic Lover' è una bossa nova con un assolo di flamenco che apparentemente non c'entra un cazzo e invece sì, 'It's Not Me' profuma di sonorità esotiche e lontane, 'All-Seeing Eye' ricorda certi Rolling Stones dediti al culto del diavolo e che suonano la marimba.
Se due pezzoni come 'Goatfuzz' e 'Goatband' sono tipica fuzz-psichedelia, un occhio di riguarda e una menzione a parte merita l'ultima traccia del disco, 'Ubuntu', che mi ha ricordato una canzone dei Brian Jonestown Massacre dal disco, 'Who Killed Sgt. Pepper?' del 2010, 'Felt Tipped-Pen Pictures of UFOs', dove veniva ripresa e mixata in un trip lisergico la famosa dichiarazione di John Lennon secondo la quale i Beatles erano più grandi di Gesù. La canzone ('Ubuntu') è permeata da una atmosfera sognante e cristallina, dove in sottofondo udiamo una indistinta conversazione sotto un suono ossessivo e ripetitivo del synth. È una canzone che mi ha fatto pensare al processo di 'creazione'. Voglio dire, in questo caso parlo proprio di creazione nel senso di momento della nascita. Vieni al mondo, apri lentamente i tuoi occhi e vedi finalmente, indistinta, la luce, e ascolti delle parole che per te non significano assolutamente niente e che purtroppo non significheranno mai assolutamente nulla, perché non riuscirai mai a ricordarle. Sono solo dei suoni annebbiati e confusi che nella stragrande maggioranza dei casi (esistono delle eccezioni, ebbene) dimenticherai di avere mai ascoltato. Un taglio al cordone ombelicale ed ecco che è finito tutto. Requiem? O forse un altro atto di dio, quel principio primordiale che ha creato l'universo attraverso un processo di manifestazione di sé e l'espressione dello spirito divino. Un processo che ha dato ordine, vita e e movimento alla materia. Il creatore, il motore, la fonte mistica di tutta l'esistenza e che nutre la materia di cui è composto il cosmo e il potere che dà forma e sostanza e ordina il giusto equilibrio tra la vita e la morte. Questo è solo l'inizio. Benvenuto.
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