The importance of being Rob Crow: part 3

Ed eccoci giunti al capitolo finale della nostra, estiva trilogia. Quella del sorriso o, per meglio dire, del ghigno sulle labbra. Per un motivo o per l'altro, seppur in maniere ogni volta differenti, quel pelosone di Rob Crow aveva avuto modo di testimoniare il suo amore per la musica pesante: d'accordo, magari meno rispetto ad altri generi, ma un tocco heavy, nel proprio amalgama di stile - e, dunque, nel suo stile personale - non se l'era mai rifiutato. Quindi, domanda: può mai un istrione come lui rimanere sempre arso di citazioni, di spunti, senza scocciarsi una buona volta e farla grossa solo per il gusto del tributo? Certo che no. Alzate il sipario, allora, sui Goblin Cock, la creatura più oscura e limacciosa del nostro nerd preferito.

"Bagged And Boarded", il loro esordio del 2005, aveva già lasciato intuire che l'intenzione generale di Crow andava ben oltre il puro e semplice side-project "cattivo". "Come With Me If You Want To Live", seguito rilasciato a distanza perfettamente olimpica, non fa altro che confermare la bontà dell'orizzonte visionario del chitarrista che, per l'occasione, si fa ridenominare Lord Phallus (come si poteva, d'altro canto, chiamare il leader di un gruppo del genere?!?) e si circonda di altri cinque membri, anch'essi dipinti da nickname improbabili, fra batteria, basso, chitarre e tastiere. Quella messa in scena è una chiara presa per il culo: l'unione dei clichè più abietti del Metallo per un approccio chiaramente scherzoso ed irriverente, ma mai privo di un certo qual rispetto per i nomi sacri ed i numi intoccabili. Con un dito medio verso il black metal, agghindati alla stregua dei Sunn O)) (tuniche nere con cappuccio che copre il volto), i ragazzi confezionano dieci pezzi orientati, perlopiù, verso uno stoner dinamico e ben poco lisergico, roccioso ma non psichedelico, affatto originale ma ricco di spunti interessanti, a dimostrare la larghezza di vedute dei musicisti qui coinvolti.

Preso per come si presenta, ovvero un divertissement duro e puro (stiano lontani gli abitanti di Pontida), il disco è una delle migliori parodie mai sentite nell'ultimo tempo. Quello che sorprende, tuttavia, è constatare come l'intera struttura si regga autonomamente sulle proprie gambe anche fuori da un contesto goliardico. I Goblin Cock rubano da una parte, barattano da un'altra, in una continua, dissacrante rincorsa alla celebrazione e, ridendo e scherzando (proprio), mettono in serie un ventaglio di riff scorticanti, che prendono per i capelli come i bambini piccoli e non mollano la presa ad alcuna condizione. Bello è sentire un breve strumentale acustico ("Hissless") bruscamente franato da rumori temporaleschi - Slayer? - chiuso da una mortifera pressa come "Loch", come se Matt Pike fosse finalmente andato a lezione di canto portandosi dietro "Welcome To The Sky Valley". "We've Got A Bleeder" cavalca un'impetuosa onda ritmica e per un istante sembrerebbe di essere quasi seri, se non fosse che... Grasse risate ed un congruo compenso musicofilo in arrivo. Altrove si ride meno, come su "Haint", e ciò che resta è un pezzo compassato, con un muro di chitarre superfluo, che smaschera prepotentemente l'inganno e svela la doppia identità di Crow come impiegato nella fabbrica alt-pop dei Pinback - timbro vocale, per chi conosce la band, inconfondibile! -.

Si sbaglia davvero poco, tirando le somme, e anche di fronte a brani come "Big Up Your Willies" - distorsioni ricolme di fuzz dove spunta, dal nulla, un esilarante vocoder -, la bombarola "Mylar", perfetta per essere adottata come cantilena twee non fosse altro per le chitarre roventi in sottofondo, e l'esaltazione della breve "Trying To Get Along With Humans", praticamente i Motörhead che fanno a pezzi i Masters Of Reality, non si può fare altro che prendersi tutti per mano e darci dentro di girotondi, facendo nel contempo headbanging. Un'immagine quantomeno curiosa, ma che si adatta altresì bene anche agli episodi meno riusciti, come "Ode To Billy Jack", troppo statica e strascicata nel suo insieme.

E poi, signori: trovatemi un altro gruppo che intitola un proprio brano "Beneath The Valley Of The Island Of Misfit Toys" e ne potremo riparlare! Con i volti coperti, sia chiaro. Mezzo voto in più a quanto assegnato.

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