L'album soundtrack del 1975, "Profondo Rosso", proiettò i Goblin (giovane band romana che col nome di Oliver aveva di poco fallito la pubblicazione di un album sotto l'egida, nientemeno, che di Eddie Offord) in cima alle classifiche italiane per quel singolo così particolare, enigmatico ed affascinante. Era successo che Enrico Simonetti, padre del virtuoso tastierista della band Claudio, aveva presentato i ragazzi a Dario Argento, il quale aveva appena litigato col grande jazzista Giorgio Gaslini ed era alla ricerca di qualcuno che completasse la colonna sonora del suo imminente capolavoro cinematografico.

Il disco è infatti diviso in due parti distinte, corrispondenti alle due facciate: la prima, di composizione esclusiva dei Goblin; la seconda, che contiene quattro brani composti più o meno da Gaslini, due dei quali suonati dai Goblin (e da loro presumibilmente "terminati", adattati ed arrangiati) e gli altri due di esecuzione orchestrale e composizione chiaramente non riferibile al gruppo. Dario Argento fa riferimento al tema di Tubular Bells e commissiona alla band, in particolare, un main title dalle precise caratteristiche, che rispetterà le regole di ingaggio (tempo in 7/4, circolarità ossessiva del tema, drammaticità) e risulterà efficace e popolarissimo nell'incedere pulsante e pesantissimo del basso elettrico, nella scala lancinante del minimoog e nel maestoso organo a canne.

Dopo la perentoria "Profondo Rosso" arriva "Death Dies" (chissà se si tratta di errore o gioco di parole), tema dell'inseguimento se mai ce n'è stato uno, notevole ed inquietante funky rock sui tasti bassi del pianoforte con inserti di chitarra acida (alla batteria il grande Agostino Marangolo), che lascia il posto all'atmosferica "Mad Puppet", capolavoro dell'incombenza e del pericolo in agguato, introduzione sinistra e giro circolare di basso "sporcato" dall'elettronica. Sulla seconda facciata, "Wild Session" ospita un bel sassofono ed è effettivamente una session tra dark atmospheric e jazz rock, piuttosto free come doveva essere per risultare sinistra ed inquietante (il cosiddetto "crime jazz" ha sempre utilizzato le dissonanze); segue, a proposito di dissonanze, la sbilenca ed emersoniana "Deep Shadows", il brano più sorprendente del disco, in bilico tra rock, tempi dispari, pianoforte classico, folli libertà di tutti gli strumenti ed una scrittura che sembra improvvisata proprio laddove è maggiormente scritta... un brano non cantabile, coraggioso, stupendamente suonato: dopo la title track è il migliore del disco. Chiudono la celeberrima nenia infantile di "School at Night", che nessuno potrà ascoltare al buio o in una strada deserta senza tremare di paura, ed il tema rilassato di "Gianna", che sottolinea il tipico interludio argentiano (di comicità o di eros) necessario per non far crepare lo spettatore cinematografico.

L'album vendette uno sfracello, un milione di copie solo nel primo anno: l'esordio strumentale di una band sconosciuta, figurarsi, che resterà la perla migliore ma non unica nella discografia dei Goblin. Se non si conosce a menadito questo disco, non si può davvero disquisire di musica italiana: tra i dieci migliori dischi del prog italiano c'è sicuramente "Profondo Rosso".

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