Nevica come non accadeva da anni qui da me.

Sono "barricato" in casa da questa mattina, a parte qualche rapida uscita per una veloce spalata, ed ho così trovato il giusto tempo per parlare, nella maniera più sintetica possibile, del ritorno discografico dei Godflesh. La spasmodica, monolitica e fredda creatura creata da Justin Broadrick.

E di Justin ci si può sempre fidare.

Poche storie introduttive: Primus a parte il mio disco di questo 2017.

In una rarissima intervista concessa durante la preparazione del disco la band aveva fatto intuire una virata verso suoni meno opprimenti ed ossessivi. Una ricerca sonora mirata non più allo stordimento fisico; brani che sposano e si spostano verso la liquidità dei Jesu, altro progetto da massimo dei voti di Justin. Si respira un'aria diversa: anche nell'angelica copertina in netto contrasto rispetto al disco precedente del 2014.

Sono comunque presenti, in particolare nella prima parte del lavoro, le classiche terrificanti mazzate sonore così cariche di quel "modus operandi industrial" pesante e ripetuto all'infinito: vero ed inequivocabile marchio di fabbrica del duo inglese.

Poi a poco a poco i brani si dilatano, si quietano; lo stesso avviene per i suoni che si affievoliscono, si attenuano. Una rarefazione sempre glaciale come avviene nei cinque minuti di "In Your Shadow": solenni e letali, ricordando molto da vicino gli indimenticabili Isis.

Lode, gloria ed onore perenne alla Carne di Dio...PARASITE...

Ad Maiora.

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