I Godsmack tornano con un nuovo album, a cinque anni di distanza dal precedente ottimo lavoro “When Legends Rise”, con il quale hanno abbracciato nuove sonorità hard rock e a venticinque anni dal loro omonimo album d’esordio.
Sully Erna, frontman della band, senza troppi fronzoli e in modo molto onesto ha comunicato che “Lighting Up The Sky” sarà il “canto del cigno” dei quattro di Boston e chiuderà un quarto di secolo di prolifica produzione discografica (nove album in studio e tre raccolte), per lasciare spazio alla vita on the road, dedicandosi esclusivamente alla dimensione live.
“Lighting Up The Sky” è un disco spensierato, anche e soprattutto per i sopracitati motivi, creato per ricordare il passato glorioso e celebrare il presente in ottica futura. Le sonorità richiamano il grunge e l’hard rock, con un massiccio rimando al periodo nu metal proprio del grande successo di “Awake” e del self-titled “Godsmack”, ancora prima.
I riff di Tony Rombola nell’opening “You And I” evocano i primi Rage Against The Machine e racchiudono le tipiche sonorità dei Godmsack, con indiscutibili rimandi al grunge. D’altronde il moniker della band del Massachusetts ci ricorda sempre il mai celato amore per Layne Staley e gli Alice in Chains.
Si passa dalla pura essenza hard rock di “Red White & Blue”, pezzo votato alla diffusione radiofonica, alle scatenate “Soul On Fire” e "Surrender", che sembrano essere state messe al mondo per infiammare i moshpit durante le prossime esibizioni live. Non manca la parentesi riflessiva e malinconica con la splendida “Truth”, che vede Mr.Erna sedersi nuovamente al pianoforte, ad accarezzare i tasti bianchi e neri per accompagnare con dolci e morbide note l’esplosione del cantato su strofe dal sapore amaro.
“Hell’s Not Dead” e “Let’s Go!” non fanno gridare al miracolo ma stupiscono perché sembrano scritte appositamente per provocare una sana punta di nostalgia, mostrandoci un evidente stato di grazia che si fa beffe del tempo. Proprio tirando in ballo i tempi andati, “Best Of Times”, con il suo titolo eloquente, serve a tirare le somme e a ricordare i record di vendite e i vertiginosi picchi di classifica, con tanto di sentiti ringraziamenti a chi ascolta.
“What about me” e “Growing Old” hanno un denominatore comune, che poi è il filo conduttore dell’intero lavoro. Si riflette sugli errori della vita, tirando in ballo il condizionale, il “senno di poi”. Se la prima è guidata da un ritmo galoppante, la seconda è caratterizzata da un cantato molto cupo, trascinato e riflessivo.
“Lighting Up The Sky” é la chiusura che ti aspetti. Prima melodica, poi aggressiva e tagliente, non cambia di fatto l’atteggiamento riflessivo dei pezzi che la precedono ma è l’uscita dalla porta dello studio, il congedo definitivo. Molto bello il mashup finale in sottofondo che, con rimandi a parte dei primi storici brani, chiude il pezzo in dissolvenza.
In definitiva possiamo dire di avere per le mani un disco onesto, molto piacevole, a tratti nostalgico ma mai affaticato nella sua narrazione. Ascoltandolo più volte si ha la sensazione che ci sia ancora tanto da dire e che non sia il momento più adatto per congelare un’epoca da esibire ad oltranza negli anni a venire. Ma forse deve essere così.
Di sicuro la vita non ci obbliga ad escludere i ripensamenti. E non ci costringe ad usare il condizionale.
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