C'è un velo che offusca tutto ciò che ci circonda. La realtà in cui viviamo sembra nascondere, tra vivaci e nitide apparenze, un qualcosa di oscuro difficilmente descrivibile a parole.
I “Godspeed You! Black Emperor” da vent'anni cercano di raccontare e distruggere l'illusione di normalità e felicità che ci avvolge, svelando con le loro monumentali composizioni, l'angoscia di un'era decadente e totalmente "fottuta". Per citare una nota interna del loro ultimo lavoro "Asunder, Sweet and Other Distress", pubblicato per Constellation Records nel marzo scorso.
Mettiamo subito in chiaro la situazione: nelle 4 canzoni che compongono il disco i GYBE non propongono nulla di nuovo. Ma in realtà i GYBE non ci stanno proponendo neanche 4 canzoni. L'intero progetto nasce infatti da una sezione di concerto che il collettivo suona per la prima volta nel 2012 intitolata “Behemoth”, il "colosso". Mai nome provvisorio fu più azzeccato. 40 minuti di musica divisi in 4 segmenti senza soluzione di continuità. Imponente sì, ma come detto sopra nulla di nuovo. I GYBE ci hanno abituato a canzoni la cui durata varia dai 20 ai 30 minuti. La forza di questo disco, infatti, non arriva dall’innovazione o dalla capacità di sorprendere bensì dall’incredibile maturità compositiva raggiunta dal gruppo. Da questo punto di vista "Asunder, Sweet and Other Distress" rappresenta il lavoro più coeso e importante della loro carriera.

Prima canzone o primo movimento (che suona molto più alternativo): "Peasantry or 'Light! Inside of Light!'". Una tempesta a metà tra sogno e incubo. Una partenza un po' anomala: niente crescendo, subito forte, 4 giri di martellante batteria e poi tutti dentro in perfetto stile “Godspeed”. Il suono è ricco ma allo stesso tempo limpido e cristallino. Saranno anche tre chitarristi, due bassisti, due percussionisti e una violinista ma ognuno ha il suo posto e il proprio spazio perfettamente delineato.
La cavalcata iniziale dura quasi 10 minuti prima che cominci a diradarsi una fitta nebbia di droni; la quiete dopo (e prima) la tempesta. Le due parti centrali del disco "Lamb's Breath" e "Asunder, Sweet" sono proprio questo. Il ritmo non esiste più. Ciò che è rimasto sono macerie: chitarre violini e percussioni che non suonano da chitarre violini e percussioni; un atmosfera cupa e claustrofobica che calma le acque e abbassa le pulsazioni. Ma è una calma apparente. Non si fa in tempo a godersi il dolce galleggiare che il suono torna a scuotersi e a risalire e a distorcersi un'altra volta e poi a esplodere un'altra volta, in maniera ancora più fragorosa. “Piss Crown Are Trebled” chiude l'opera così come era iniziata. L'ultimo frammento va al suo posto in modo quasi scontato. Meravigliosamente scontato.

Con "Asunder, Sweet and Other Distress" i GYBE non si rivoluzionano e non rivoluzionano né la musica in generale, né il post rock o qualunque altro genere in cui si prova a infilarli. Il loro modo di raccontare e “disegnare” su nastro ciò che ci circonda rimane lo stesso da vent'anni. Forse perché quello che ci circonda in vent'anni non è cambiato di una virgola. Musicalmente hanno raggiunto una stabilità e un'accuratezza compositiva che nessuno, nella scena musicale d'oggi, può eguagliare. Gli si può rimproverare di fare sostanzialmente sempre la stessa canzone, di sfruttare sempre gli stessi suoni e di usare sempre gli stessi arrangiamenti. Ma importa poco.
Potranno aver fatto sempre la stessa musica, ma la fanno in modo stramaledettamente perfetto.

P.s il voto e 4,5 ma approssimo a 4 stelle. 5 si danno "solo" a "Yanqui","Skinny Fists" e "Slow Riot"

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