Ben conscio dell'esistenza di una precedente recensione dell'album in oggetto, mi appresto a dare una spiegazione di tale doppione.
In primo luogo per ravvivare l'attenzione del popolo DeBaseriano sui francesi Gojira, visto che l'ultimo studio album risale ormai al 2008 e che il lavoro recensito in questa pagina addirittura a cinque anni orsono, motivando ciò con il grandissimo spessore artistico che, a mio pesonale parere, i transalpini sanno profondere nelle loro composizioni.
Secondariamente perchè leggendo la precedente recensione di "From Mars to Syrius" mi era sembrato di cogliere, sopratutto proveniente dai commenti di alcuni utenti DeBaseriani, una certa insoddisfazione nella descrizione delle componente musicale. Speriamo di essere in grado, in questa pagina, di colmare qualche lacuna se mai ce ne sono state, premettendo comunque che i concetti espressi da Hibrys sono da me largamente condivisi.
Ok bando alle ciance.....
Come già accennato, "From Mars to Syrius" viene dato alle stampe dalla Listenable Records il 27 Settembre del 2005 e segna un notevolissimo salto qualitativo rispetto al già piacevole predecessore "The Link".
Diamo a Cesare ciò che è di Cesare, siamo al cospetto di un capolavoro di furiosa muscolarità, di distorta passione e di asimmetria ritmica/compositiva e sinceramente non ho trovato altro sostantivo migliore per definire la proposta dei nostri: ecco, leggendo sul web alcune reviews e post, mi sono imbatutto nel termine "Whalecore" e davvero, tenendo in considerazione le tematiche fortemente ambientaliste delle lyrics (sempre qualitativamente elevate e mai banali o pedissique) e la pesantezza gravitazionale che i transalpini sanno imprimere alle lore songs, non credo che si possa descrivere meglio in una sola parola questa entità musicale così particolare.
L'album in sé è davvero ostico, di lunghissima durata (circa 1 ora e dieci minuti, che per questo genere di proposta è un'abisso), pesante e possente all'inverosimile, si ha la netta sensazione di essere schiacciati a terra da un forza centripeta inarrestabile, dattata dalla generale lentezza media dei pezzi che solo a sprazzi vengono lasciati liberi di esprimersi in progressioni grindcore (vedasi "Backbone") davvero poderose e devastanti. Melodie chitarristiche dissonanti (quardando i tabulati di chiatarra non si vede un semplice power chord neanche a pagarlo), ad opera del duo Joe Duplantier/Andreu, sorreggono una struttura musicale impreziosita e profondamente segnata dal drumming di Mario Duplantier, finemente sincopato ed elaborato, precisissimo e chirurgico anche nelle migliaia di variazioni presenti, il tutto corroborato dalla voce dello stesso Joe Duplantier di chiaro stampo scream/death ma assolutamente personale e riconoscibile nonchè intellegibile, nella quale la passione e il trasporto per le liriche espresse si può tranquillamente udire tanto è il pathos profuso. Le linee di basso eseguite da Michel Labadie (dal suono bello distorto ma assolutamente distinguibile) hanno il fondamentale ruolo di raccordare e facilitare le dissonanze chitarristiche per rendere maggiormente fruibile il prodotto finale all'ascoltatore (come nella parte terminale della devastante e pesantissima opener "Ocean Planet", un diamante grezzo), insomma danno un punto di riferimento a chi si appresta per la prima volta ad affrontare il mondo Gojira.
A questo punto qualche d'uno di coloro che si sono gentilmente imbattutti in questa recensione si staranno chiedendo a quali riferimenti artistici fanno capo questi devastanti francesi... Beh non è così semplice: innanzitutto siamo in presenza di un gruppo dalla forte personalità autoctona, ma se dobbiamo dare un'idea, per quanto approssimativa, ad un neofita allora possiamo definirli come una mistura assai originale che prende linfa da ingredienti primari come i Fear Factory (ma solo quelli di "Soul of ....."), da alcune cose dei Godflesh di "Pure", dai Neurosis/Isis (per i secondi direi da "Ocean"), da alcuni riverberi dei Meshuggah (più nella cervelloticità delle strutture che nella tipologia ed esecuzione del riffing) e da una base classicamente death (direi i Morbid Angel da "Domination" in avanti). Shekerare con forza e servire caldo... come il magma...
Vi è da far notare come i nostri siano in grado anche di mitigare notevolmente le loro combattive velleità artistiche inserendo strategicamente songs come la strumentale "Unicorn" (segnata da una ripetitiva ma delicata e sognante successione di armonici), la vagamente seventies "World to Come" (arpeggio di base da urlo, semplice ma estremamente efficace), la cangiante "Flying Waves" che di primo acchito ammalia l'ascoltatore ancora con arpeggi di chitarra soffusi ma ficcanti (sormontati da un sample di canti di balene) per poi trasformarsi in una rocciosissima song piena di dissonanze armonizzate, nonchè la semi tittle track "From Mars" (in questo caso l'arpeggio è eseguito dal basso con clean vocals sussurranti a condurre le danze). Tali brani hanno la facoltà di allentare un pò la pressione esercitata da brani furiosi e muscolari quali "From the Sky" (direi la song più classicamente death dell'album), "The Heaviest Matter of the Universe" (e il titolo dice già tutto sulla sua reale pesantezza musicale) o dalle già citate "Ocean Planet" (davvero azzeccata la scelta come opener dell'album) e "Backbone". In ultima analisi si possono anche scorgere i semi di quello che avverrà con il seccessivo capitolo discografico dei nostri, vale a dire "The Way of All Flesh" (mio personale album dell'anno 2008), nella conclusiva "Global Warming" contraddistinta da un uso prolungato della tecnica di tapping come ritmica di base della song stessa (cosa che possiamo riscontrare nel loro ultimo lavoro in song quali "Oroborus" e "A Sight to Behold") oltre che da una maggiore quantità di clean vocals rispetto al solito.
In definitiva un meraviglioso album dissonante, assolutamente consigliato per la propria discoteca se si ama la sperimentazione applicata all'estremismo metal: questo è il futuro. Ed è terrificante.
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