Mi sono avvicinato all'ascolto del nuovo album dei Gojira con molta cautela, quasi con diffidenza. Non perchè mi aspettassi un improvviso calo da parte dei cugini transalpini, ma perché le recensioni lette nei giorni precedenti la sua uscita erano fortemente discordanti: si passava dai toni entusiastici di recensioni abbastanza superficiali (a parere di chi scrive) a bocciature senza condizioni. In mezzo qualcuno arrivava a definirlo "una svolta alla Black Album". In questi casi c'è poco da fare: cuffie in testa e click periodico sul tasto "ripeti".
Non servono molti ascolti per capire i motivi di questa frattura nel mondo della critica discografica: la svolta c'è stata, e non a tutti piacerà. Le influenze death metal sono quasi del tutto sparite, le canzoni sono più corte, la composizione è diventata più diretta, lineare, a tratti molto ripetitiva. Il sentimento prevale sui tecnicismi, il doom sul thrash, e le clean vocals superano in quantità ed intensità le urla rabbiose cui i nostri ci avevano abituati. Ma, attenzione, quanto appena detto non rende "Magma" un disco "easy listening", non è un disco commerciale, tutt'altro, è un pezzo di granito pesante che va scavato a fondo, con tutte le difficoltà del caso.

Credo che la svolta stilistica fosse stata preventivata dai membri del gruppo, ma si è resa ancor più necessaria dopo il grave lutto che ha colpito i fratelli Duplantier: la morte della madre, la cui presenza eterea influenza pesantemente il disco fin dalla prima traccia. "The Shooting Star" sembra infatti un'invocazione alla madre scomparsa, la ricerca di un ponte gettato tra il mondo dei vivi e quello dei morti ("when you get the other side / please send a sign"). I ritmi sono lenti, cadenzati, ossessivi, e la voce, pulita e filtrata, sembra davvero parlare all'oltretomba. Si punta al cuore più che alla testa, e il bersaglio è centrato. "Silvera", uno dei singoli (accompagnato da un ottimo video) che hanno anticipato il disco, presenta invece i Gojira ancora nella vecchia veste post-thrash. Il pezzo si basa infatti su taglienti riff alla Machine Head e la voce torna aggressiva; è un ottimo pezzo, arricchito da un refrain orientaleggiante, una nenia ipnotica che invita però al risveglio collettivo: "time to open your eyes to this genocide...whene you change yourself you change the world".

A volte mi piace scrivere le mie impressioni e poi confrontarle con quelle degli esperti del settore. Bene, in questo caso, ciò che per gli altri risulta il punto di forza del disco, alle mie orecchie suona come il punto più basso. Seguono infatti due pezzi pesanti e incazzati ("The Cell" e "Stranded", quest'ultimo uscito come singolo), incensati dalla critica, che io ho invece trovato noiosi e scontati, come tanti se ne trovano in giro. Dai Gojira mi aspetto di più, e quel "di più" arriva subito dopo. Il disco viene infatti diviso quasi a metà da un breve pezzo strumentale, "Yellow Stone", una sorta di incrocio tra il Black Sabbath e i Metallica di "Pulling Teeth", che ha il merito di introdurre quello che una volta avremmo chiamato "il lato B" del disco, la parte migliore di "Magma", un crescendo di intensità ed emozioni. La title track, la canzone più lunga ed elaborata del disco, riprende le sensazioni accennate in "The Shooting Star". "Magma" è un muro di melodie intense e malinconiche, su cui si staglia una chitarra molto particolare, acida è graffiante, di quelle che si amano o si odiano. É una risalita dal centro della terra, spinta da una parte centrale più aggressiva, un riff monolitico accompagnato da un cantato che cerca ancora il contatto con l'oltretomba: "Just want to fly away, always higher / Embrace the light on the other side". Seguono due pezzi dal sapore industrial: "Pray" e "Only Pain". Interessante è soprattutto il primo, una preghiera solenne e soffocante, in cui si alternano ritmi tribali e sfuriate metalliche, e dove a risaltare è soprattutto il lavoro di Mario Duplantier dietro le pelli. "Only Pain" si muove sulle stesse coordinate, con più rabbia, ma sembra mancare qualcosa, il morso non lascia il segno.

Si arriva quindi a quello che, pur non essendo numericamente l'ultimo pezzo del disco, è a mio avviso la fine e l'inizio del cerchio, nonchè il punto più alto toccato dalla band in questo lavoro. Il magma è fuoriuscito, la seduta spiritica volge al termine, il contatto è stato stabilito (Tell me what you see / in the afterlife...You're invisible / you're in everything). "Low Lands" è infatti il pezzo in cui il climax raggiunge l'apice. L'ascesa è finita, la voce si staglia su un parete sonora ipnotica, e sembra adesso trovare pace, una pace malinconica ma consolatoria. Seguendo lo schema che contraddistingue tutto il disco, la canzone cresce di intensità, il riffing si fa pesante e la voce urla ancora. Poi un momento di vuoto e un finale acustico, sognante, la quiete dopo la tempesta. Sarebbe stato il finale perfetto, l'ascesa continua, il contatto, la scoperta e la tranquilla ricaduta. Ma, scelta discutibile, i Gojira decidono di chiudere il disco con "Liberation", uno strumentale acustico registrato dal vivo, francamente evitabile.

Tirando le somme, "Magma" è un ottimo disco con alcuni punti deboli. Non è un capolavoro, non è il miglior album della band francese, può anche non piacere, eppure fatico a comprendere certe critiche. I Gojira hanno scelto un approccio più diretto ma che non ha nulla di commerciale. La limitata presenza di virtuosismi tecnici e la minor durata media dei pezzi non rende questo disco di immediata assimilazione. É un lavoro oscuro, serviranno numerosi ascolti per assimilarlo appieno. Una volta scalfito, il monolite nero potrebbe conquistarvi e non lasciarvi più.

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