Personalità, tecnica, coraggio ed acume artistico, abilità nel songwriting e gusto nella realizzazione finale: questi sono gli elementi perculiari con cui i francesi Gojira plasmano la loro musica rilasciando così quello che, a mio modesto parere, è il loro lavoro migliore, nel quale viene raggiunta la loro vera maturità artistica.

Edito nel 2008 dalla Listenable Rec., "The Way of All Flesh" è il quarto album del combo transalpino: dagli acerbi esordi, i nostri si sono, lentamente ma inesorabilmente, evoluti dall'iniziale death metal molto tecnico ma abbastanza povero di idee e groove all'attuale visione personale e di difficile catalogazione. Possiamo trovare elementi riconducibili al moderno thrash metal ("Toxic Garbage Island), cosi come ad un certo metalcore (il singolo "Vacuity"), in alcuni casi (abbastanza limitati la dire il vero) al più efferato death (le vocals di tutte le song in primis e poi "All in Tears" e soprattutto "Esoteric Surgery"), senza dimenticare una certa propensione al progressive, certamente per via della tecnica sopraffina dei nostri, ma anche per il gusto della sperimentazione non fine a se stessa (vedasi l'opener "Oroborus, "A Sight to Behold" e soprattutto la prima parte della poderosa "The Art of Dying").

"The Way of All Flesh" è un lavoro complesso, non di facile assimilazione, dall'impatto tutt'altro che friendly: se ad un primo ascolto la monoliticità della proposta risulta lo scoglio maggiore da superare (la durata complessiva dell'album in questo non aiuta), si rimane tuttavia affascinati per la sua tortuosità, cangevolezza e per l'uso notevole e massiccio di dissonanze e melodie anomale, per l'impegno profuso dai nostri nel creare brani stratificati, che ad ogni successivo ascolto sanno rivelarsi via via sempre più coinvolgenti, grazie agli innumerevoli elementi sonori che ne riempono il substrato musicale.

Il sound delle chitarre è roccioso e tagliente, ferale e cristallino e cosa abbastanza rara per la tipicità della proposta, il basso (distorto ovviamente) è sempre ben udibile ed anzi è sovente protagonista, non tanto in improbabili solismi, ma nel sostenere e fortificare la serratissima ritmica. Dulcis in fundo, le timbriche delle percussioni sono estremamente realistiche, limpide nei piatti e scevre da bombastiche manipolazioni nei tom/cassa, il tutto per mettere in ulteriore risalto l'ottimo e personale lavoro svolto da Mario Duplantier (il fratello Joe da anima alla voce e alla chitarra, mentre al basso troviamo Jean Michele Labadie e all'altra chitarra Christian Andreu).

In definitiva una proposta davvero intelligente e sicuramente consigliata a coloro i quali non sopportano più la routine metal odierna e vogliono trovare una teoria evoluzionistica parallela all'estremismo musicale oggi in voga.

Buon ascolto. 

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