Li avevamo lasciati nel 2010, i Goldfrapp, con Head First, un piacevole pastiche elettropop di indubbio tributo agli Ottanta che tuttavia aveva soddisfatto i fan solo a metà, abituati probabilmente all'atavico comparto ambient-folk dell'incompreso Felt Mountain - nonché all'allora più recente Seventh Tree - e poco preparati a digerire la seconda parte dello sfavillante duo Supernature - Black Cherry. Constatata dunque la difficile uscita dall'anonimato elettronico, ormai saturo da anni delle produzioni più stravaganti e aberranti, il collettivo di miss Alyson ha deciso di tirare fuori dalla naftalina il berretto di Peter Pan e riacciuffare il libro magico della folktronica (in realtà più folk che tronica). Ebbene si, se Head First figurava come il successore, l'erede designato di Oh La La, Ride a White Horse, Satin Chic, Train e Strict Machine, il fresco di leakkaggio Tales of Us divorzia dai Goldfrapp electro-chic-retrò per maritarsi con il solo, soletto Seventh Tree dei Goldfrapp "chitarra e flauto al sintetizzatore", a sua volta legato, ormai in una poligamia discografica, con l'esordio di Felt Mountain.

Tales of Us vede, dunque, Alyson che nuovamente si dirige all'Isola che Non C'è per ri-stregare con il suo sesto capitolo discografico l'animo folkloristico, filo-indie e malinconico-fiabesco dei Goldfrapp-aficionados della prima ora. Il "librone" si suddivide in dieci storielle-canzoni che - a parte Stranger - sono (a quanto insinua la scheda Wikipedia) nomi di cagnolini e/o animali da compagnia; l'atmosfera è maledettamente pregna di mistero, pacatezza e mitologica effervescenza, palesate in un composto di folktronica, dowtempo, dream pop, indie pop e leggere improvvisazioni synth e dominate dal possente e quasi onnipotente trinomio voce-archi-chitarra/mandolino. Drew, il primo singolo, esemplifica perfettamente il concept: un corposo e profondo brano melanchonic-folk aggraziato dalle sinusoidi degli archi e, soprattutto, dall'iper flebile tonalità vocale di Alyson, smarrita in un trip ultrareale e ultraterrestre.

L'orientamento non muta - o quasi - per tutta la durata del disco: Jo aggiunge timidi accenni rock, Annabel è dominata dal vivissimo connubio orchestral-mandolino, Stranger si presta perfettamente al comparto unplugged, Alvar propone un'oscura dialettica ambient-classical che, assieme a Simone, ricorda le effuse produzioni dell'eclettica Bjork nella colonna sonora Selmasongs, mentre Laurel si perde in una difficile distinzione fra un esemplare chamber/art pop e un'autentica, monumentale sinfonia classica. Unico, fuori dal coro, Thea - a detta del sottoscritto la migliore produzione dell'album - riabbraccia il quasi rigettato synthpop dei tempi migliori.

Illuminante e oscuro, magico e al contempo non artefatto, l'incantesimo di Tales of Us della "strega" Alyson e dei suoi maghetti risulta riuscito, sebbene non al cento per cento. L'unica pecca  può essere la quasi totale mancanza di "varietà" all'interno del corpus discografico, pressoché ancorato all'assodato flirt folk-classico, che comunque non compromette per nulla la validità del progetto. Dedicato a tutti i "Goldfrappiani" a digiuno di favole che vogliono vedere la loro Alyson nel costume di Peter Pan (ma va bene anche la versione femminile di Harry Potter) e non mascherata con i lustrini e le paillettes della deriva elettronica odierna.

Goldfrapp, Tales of Us

Jo - Annabel - Drew - Ulla - Alvar - Thea - Simone - Stranger - Laurel - Clay

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