Quella dello shredder non è certamente una vita facile: continui attacchi da chi ritiene che più di quattro accordi consecutivi denotino una superbia e presunzione da ridimensionare subito, critiche e spregio dei chitarristi "moderati", professionisti e non, che riducono il tutto a meri esercizi di stile, buoni soprattutto per sciogliere le dita ma con valenza musicale vicina allo zero.
Il problema, secondo me, non è il numero di note e la tecnica fine a se stessa ma il contesto in cui si suona. Vi sono brani che inevitabilmente richiedono maestria e velocità, altri in cui poche note riescono ad ottenere effetti sorprendenti. Il problema è che oggi molti chitarristi hanno perso il lume della ragione, sarebbero capace di infarcire di tapping e sweep-picking anche l'Ave Maria di Shubert, diventano prigionieri della loro conoscenza musicale, della loro bravura, perdendo di vista il fine ultimo che è quello di creare musica.
Fortunatamente vi sono delle eccezioni, come ad esempio Gonçalo Pereira, sconosciuto chitarrista portoghese. Egli è la prova di come con tenacia, studio e dedizione si possano raggiungere livelli tecnici eccelsi ma senza perdere quella musicalità, quell'inventiva, quel piacere che è poi la ragione principale per cui si compra un disco.
Questo è il suo terzo ed ultimo lavoro, datato anno 2004, né mi sembra che il nostro si stia adoperando per dargli un seguito, la spiegazione è presto e data: questo è un disco vero, non certamente come molti prodotti chitarristici in cui aiutati da una batteria elettronica si fa tutto da soli, nella cameretta di casa. Qui c'è una band vera, ci sono idee ed una cura certosina negli arrangiamenti, nulla è lasciato al caso, ogni nota è studiata e ragionata, mai una di più e mai una di meno. Non ci sarà voluto poco per comporlo e registrarlo e prodotti di questo tipo, con questo valore, hanno i propri costi che se non sorretti da grosse disponibilità economiche, difficilmente possono ripetersi.
Stilisticamente Gonçalo Pereira si pone a metà strada tra uno Steve Vai ed un Paul Gilbert ma con forti accenti su sonorità latine tipiche di musicisti come Carlos Santana. Ascoltiamo ad esempio "Retrosaria tricot" o "Sessao geleia" oppure la bellissima "Pastel de nata", ma tutto il disco è da scoprire tra convulsioni fusion, suggestioni prog ed un chitarrismo mai esagerato. Alcuni brani ("Contratempo", "The Hypnotizer") sono dei deliziosi affreschi di pop latino in cui la chitarra è in secondo piano a favore del groove e del sentimento oppure ridiviene protagonista in "Trip to Kabul", la suite finale, un viaggio impazzito tra ritmi orientali, sambe brasiliane, progressive e l'immancabile componente melodica.
Peccato che la prolificità non sia la migliore qualità di Pereira oppure, chissà, meglio poco ma buono...
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