Prodotto da Flying Lotus, Gaslamp Killer e Mainframe, circondato da una bella nuvoletta di hype, il debutto di Gonjasufi (per gli amici Sumach Valentine) è arrivato tra di noi un mesetto fa. Il curioso tipetto, sorta di incrocio allucinato tra Horace Andy, il Dottor Gonzo di "Paura & Delirio a Las Vegas" e Mahatma Gandhi, si era già fatto notare con ottime prove sparse un po' qua e là (personalmente rilevante la collaborazione con Flying Lotus su "Testament", dal suo ultimo disco "L.A."), ed arriva codesto anno alla prima uscita ufficiale su "Warp"

Innanzitutto meritevole il lavoro dei tre produttori: il disco suona incredibilmente polveroso, allucinato, psichedelico e scostante, ricordando il cinema non patinato di una volta, tutte le asperità visive e sonore della vita analogica, quei fotomontaggi scadenti, le videoteche tutte in VHS. L'operazione nostalgia è ad un passo di distanza, ma fortunatamente il tipetto è abbastanza capace da asservire tutti i cliché del caso alla sua istrionica vocalità che riesce tranquillamente a passare in zapping nu-jazz, psichedelia sessantiana, suoni 100% Bollywood.

L'idea di un pastiche dal sapore retrò potrebbe irretire i più, e in effetti l'accusa più spesso rivolta a questo disco è quella di essere scostante, poco organico, un lavoro simile a quella specie di compilation di demo che fu "Nearly God", il secondo parto discografico (nonchè scusa per rimorchiare Bjork) di Tricky (con cui Gonjasufi condivide una buona parte di curioso e ascetico carisma), ma secondo me nell'instabilità sta proprio la chiave di lettura di un disco che funziona come una piccola rassegna di quadri sonori, di atmosfere e tutte queste cose poetiche che ci fanno sempre impazzire. Molto consigliato ai ricercatori di momenti. Di meno a chi cerca i crescendo: non ce n'è nemmeno uno. Ma per quanto mi riguarda un'ascoltata, o due, non fa male.

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