I Good Riddance erano una melodic hardcore punk band, tra le più apprezzate e conosciute sopratutto nel nuovo Continente, ma anche qui nella vecchia Europa.
Formatisi sul finire degli anni '80, hanno dato alla luce nel corso degli anni '90, dischi che insieme a quelli di più esimi colleghi, hanno aiutato a descrivere e delineare le coordinate dell'hc melodico californiano nel corso dei nineties (Calipunk, nda).
La band dopo aver dato alle stampe "My Republic" nel 2006, ultimo disco in studio, dopo lunghi tour in giro per il mondo, decide di sciogliersi nel 2007 e farsi da parte, non prima di aver registrato una serie di concerti, che vengono poi ripresi nel disco live "Remains In Memory: The Final Show" (2008): il loro testamento live.
Va detto, a beneficio di chi non li conoscesse, che sebbene anche loro come buona parte di band di questo tipo sono fautori di invettive socio-politiche tese a sensibilizzare la gente sulla società in cui viviamo, se ne discostano in parte anche, facendosi notare per uno stile che si può classificare massimalmente come hc melodico, ma con una notevole dose di aggressività maggiore rispetto ad altre formazioni.
In effetti ai fan dell'ultima ora, che li hanno conosciuti con le melodie di "My Republic", questo disco potrebbe essere una sorpresa, in positivo o in negativo dipende dai casi.
"Operation Phoenix" rappresenta infatti un caso che fa giurisprudenza a sè all'interno della discografia dei nostri, che li allontana in parte da quel caratteristico sound dei '90 per sfociare spesso e volentieri in botte adrenaliniche di hardcore puro in pieno East Coast-style.
Un disco quindi non per tutti e per niente immediato e, sopratutto, che potrebbe, come detto, lasciar di stucco e venire mal digerito dagli ascoltatori dell'ultima ora, che conosco il gruppo per l'indole più melodica più recente di pezzi quali "The Darkest Days" e "Tell My Why" per esempio.
Nonostante tutto questo in questo platter vi sono alcuni dei maggiori successi della carriera dei Good Riddance, come dimostrano l'iniziale e incalzante "Shadow Of Defeat" o la più melodica "Heresy, Hyprocrisy And Revenge", tra i migliori episodi.
Se episodi quali "Blueliner", l'indole urgente sin dal titolo di "Eighteen Seconds", "Shit-Talking Capitalist" dalle sublimi linee di basso, "30 Day Wonder" (inserita in un famoso videogame di skateboard), la tirata e urlatissima "Yesterday Died - Tomorrow Won't Be Born", "Winning The Hearts And Minds" e la buona cover finale di "My War" dei Black Flag, ci portano dritti dritti in un viaggio cupo e diretto verso la grigia New York City, sono in pezzi quali "The Hardest Part" che ritroviamo il classico sound della band californiana che gli estimatori hanno imparato ad amare nel corso degli anni.
Non inferiori comunque anche le restanti tra cui vale la pena citare i sali e scendi ritmici adrenalinici di "Indoctrination" e il finale punk-rock di "After The Nightmare" uno dei rari pezzi mid-tempo del disco, a dimostrazione di come il gruppo Californiano lasci poco spazio a pause o a momenti "morti".
Difficile eleggere un pezzo chiave che svetti sul resto, ma la fantastica "Letters Home" tra assoli al fulmicotone e un ritornello molto passionale dal sapore agro-dolce, che ricorda molto i loro epigoni Rise Against, ci va molto vicino.
Probabilmente il disco soffre di una tracklist eccessivamente lunga, che finisce per penalizzare la resa finale del lavoro, con non tutti i pezzi che verranno ricordati, ma questo fa parte del copione.
Tuttavia ci pensa la voce di Russ Runkin, con la sua timbrica sporca e grezza, ma capace anche di essere melodica, a fare da collante tra le salite e discese lungo il percorso e tenere la macchina costantemente in strada.
Il disco come esplicato precedentemente, non è più di tanto allegro, tendente invece ad un mood più distruttivo e oscuro, totalmente lontano da certe logiche di mercato, con strutture sì veloci e brevi, ma assolutamente quasi mai lineari, forse più rivolte a dare un messaggio di fondo tramite le liriche un po' come i Propagandhi, che a cercare un motivetto easy-listening a tutti i costi o incalanarsi nella classica forma canzone verso/ritornello/verso/ritornello/bridge/reprise. Proprio questo particolare, rende necessari parecchi ascolti per poterlo apprezzare, memorizzare e giudicare attentamente, e cambiare giudizi in corso sarà molto facile, come successo al sottoscritto.
Particolare curioso, ma non nuovo per produzioni del genere riguarda i vari samples o spezzoni di celebri discorsi, che toccano svariati temi, che aprono diverse canzoni (tra gli altri quello di Marthin Luther King), che se all'inizio destano curiosità, risultano un po' tediosi e probabilmente sarebbe stato opportuno limitare o eliminare, per rendere il disco più scorrevole.
Come detto, i Good Riddance, dopo tanti anni hanno deciso di appendere gli strumenti al chiodo, come dichiarato dal leader anche a causa dell'attuale scena musicale piena dei sui trend, che lasciano poco spazio a chi non si adegua a certi schemi, e loro hanno capito che era il momento di farsi da parte, sentendo di aver dato tutto quello che c'era da dare, rimanendo comunque nei ricordi e nel cuore dei tanti appassionati che negli anni li hanno seguiti in ogni dove, decretandone una band con attitudine, rinomata e onesta.
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