Olanda terra di navigatori e di pittori; gente tosta abituata da secoli a lottare con il mare per riuscire ad avere terre coltivabili ed abitabili. Dalla regione dello Zeeland, terra di mare appunto, è originaria la band, impegnata nel 1992 a dare un degno seguito al devastante debutto dell'anno prima; quel "Mindloss" che era caratterizzato da un suono totalmente Death Metal, fin troppo eccessivo nella sua violenza incontrollata.
Ha le idee chiarissime il cantante e leader Jan Chris De Koeyer per fare l'atteso salto di qualità alla sua band, andando a rivoluzionare la line-up della band introducendo un nuovo chitarrista ed un nuovo batterista. La produzione viene ancora una volta affidata a Colin Richardson che pochi mesi prima si era occupato dei nuovi dischi di Carcass e Napalm Death; il suono diventa meno cacofonico e monocorde, grazie anche al pregevolissimo lavoro della label Nuclear Blast che in quegli anni era sinonimo di garanzia assoluta (bei tempi!).
Da subito si nota una maggiore ricerca sonora, con la durata media dei brani che supera i cinque minuti: appare evidente il riuscito tentativo dei Gorefest di restare nelle canzoni il più a lungo possibile, con una serie infinita di riff di chitarra di una potenza inaudita. Con un suono, nelle parti dei brani più rallentati e di matrice Hard-Heavy, che ricorda senza dubbio alcuno il capolavoro dell'anno precedente inciso dai già sopracitati Carcass: quel "Necroticism - Descanting The Insalubrious" autentica pietra angolare di tutto un genere che in quegli anni cercava nuove maniere di esprimersi. Dopo la sfuriata di fine anni ottanta infatti il Death Metal iniziava ad assorbire influenze esterne per evolversi in qualcosa di nuovo, i Carcass, come al solito, rappresentavano l’avanguardia del movimento ed ispirarono molti altri gruppi. Da questa voglia di rinnovamento nascono le influenze Hard-Heavy che aggiungono una sana dose di groove alla musica mortifera dei Gorefest. L’approccio Rock inizierà a breve a fare proseliti e nascerà il cosiddetto Death’n’Roll che troverà terreno fertile soprattutto in Svezia, citare “Wolverine Blues” degli Entombed è doveroso, ma anche “Massive Killing Capacity” dei cuginetti Dismember merita menzione, oltre agli onnipresenti macellai inglesi con il loro “Swansong”. C’è da dire che nonostante la mutazione avvenuta il DNA dei Gorefest resta comunque inequivocabilmente olandese: infatti i riff sono sempre molto graffianti e particolarmente abrasivi per il nostro udito, molto “thrashy”, caratteristica riscontrabile in tutti i gruppi Death Metal provenienti dalla terra dei tulipani, basta ascoltare “Consuming Impulse” dei Pestilence o una qualsiasi canzone degli Asphyx, ma anche gli storici Sinister oppure gli sconosciuti Dissect, per rendersene conto, certe rasoiate lasciano il segno!
Per quanto mi riguarda "False" non raggiunge certo il capolavoro Carcassiano del 1991, restando comunque un eccellente disco, tra i migliori usciti l’anno successivo per quanto concerne il Death Metal.
Con un titolo piuttosto eloquente ed una copertina dove sono raffigurati disegni di Chiese Gotiche, uomini con le stigmate armati e crocefissi, è facile immaginare contro chi e che cosa si scagliano le invettive del vocalist Jan Chris. Il suo è un growl gutturale estremo: in alcuni momenti del suo "cantato" sembra davvero l'urlo demoniaco di una persona scuoiata viva e messa sulla graticola. Un gran bel biglietto da visita per chi come me ha amato, e continua a farlo tuttora, un genere musicale così estremo.
Un intro di pochi secondi, seguito da una voce fredda e glaciale (altra caratteristica che mi rimanda ancora ai Carcass): subito dopo si piomba dritti all'Inferno con l'urlo inumano di Jan ad aprire le danze; anzi ad aprirti in due perché il primo brano "The Glorious Dead" inizia con una sfuriata Death clamorosa, retta soprattutto dal micidiale lavoro di batteria di Ed Warby; poi il pezzo rallenta, entrando in territori cupi, lenti che schiacciano nell'ascolto. Ma la tregua è breve, perché si riparte di nuovo con una di quelle accelerazioni tipiche del Death Metal. Un inizio incredibile per un disco che prosegue per tutta la sua durata nello stesso modo, con le parti rallentate che rendono molto personale e riconoscibile il suono della band.
Prima di chiudere voglio segnalare ancora un brano, per me il vertice dell'album: gli oltre sei minuti di "Reality - When You Die" dove la produzione monolitica e bastarda di Colin viene a galla in tutta la sua cieca furia. Una furia in ogni caso sempre controllata da parte dei Gorefest che vogliono, riuscendoci in pieno, dimostrare l'enorme crescita rispetto all'esordio dell'anno prima. Un brano con un inizio Doom Sabbathiano, che si poggia questa volta sul lavoro preciso e dinamico delle due chitarre; si prosegue tra i latrati del vocalist-bassista fino a quando la canzone esplode letteralmente su se stessa, con la doppia cassa che diventa protagonista assoluta prima di cedere il passo ad una nuova accelerazione fino allo sconvolgimento conclusivo ed una virata finale questa volta in territori addirittura progressive: brano che definisco molto semplicemente pazzesco, non trovando termine migliore.
Questo secondo disco dei Gorefest purtroppo non avrà un degno seguito; la band infatti proseguirà la carriera, infarcendo il proprio sound di troppe aperture Hard - Melodiche per aderire in toto al nascente Death’n’Roll, come già accennato, con il successivo album “Erase”; mi tengo molto ben stretta la mia copia dell'originale vinile, di color giallo paglierino: una caratteristica della Nuclear Blast in quel periodo, visto che anche diversi altri dischi di gruppi Death avevano un colore diverso dal solito (ad esempio il blu cobalto in "Indecente And Obscene" dei Dismember").

Carico i commenti...  con calma