Terzo capitolo per i Gorgoroth datato 1997 e chicca di chiusura di un trittico che ha fatto la storia e la scuola del black metal old style.
Questa perla nera è la classica composizione sfrontata e ricca di personalità, che non strizza l'occhio a nessuno ma va dritta per il suo sentiero accidentato fatto di gelido clangore metallico. Questo album si cala ancor più nell'abisso senza luce dell'anima della band, rievocando tutto quanto di marcio i norvegesi ci avessero fatto ascoltare in precedenza, ma con toni più battaglieri e più lancinanti che in passato.
Questo disco, che non ha nulla a che fare stilisticamente con l'ambient, ha la grande capacità disegnare atmosfere freddissime che ci fanno ritrovare immersi in battaglie cruente di tempi andati, oppure su lastroni di ghiaccio, in completa solitudine e avvolti nella nebbia. Ma la sensazione di fondo è che sotto di voi ribollano liquami fetidi ad elevata temperatura. Colpisce come dalla cura di un sound mai più ripetuto a questi livelli, venga fuori un'idea straziante del concetto di uomo nella quale la band sembra crogiolarsi con grande godimento, frutto della convinzione nelle proprie idee.
Da un punto di vista stilistico, credo sia il caso di ripetere che 'UTSOH' sia un grandissimo disco per il fatto che qui il sound è ancora grezzo e basico, ma sicuramente ben calibrato e studiato per colpire con precisione chirurgica i timpani dell'ascoltatore. Il drumming per tutto l'album va avanti spedito, forsennato e preciso, ma mai ai limiti dell'inintellegibile. Le chitarre propongono un riffing distaccato ma muscolare, a volte guerresco a volte funereo, costruendo vere e proprie mura di fortificazione attorno alla voce di Pest, il cui screaming questa volta viene ancora più scavato dal petto e suona probabilmente come il miglior strumento utilizzato dalla band in questo album. Magari potrebbe risultare un po' monocorde, troppo simile a se stesso di traccia in traccia, ma per me costituisce una scelta coerente al concetto di base su cui è stato messo in piedi l'album. In ogni casi brani come Blood Stains The Circle e Profetens Apenbaring ci presentano una voce più umana, addirittura epicheggiante nel secondo caso.
Tra le songs non darei una nota di merito a nessuna in particolare perchè la meritano tutte. Ad iniziare proprio da quella di apertura, Revelations Of Doom, cavallo di battaglia ancora oggi nei live shows della band. Sicuramente il pezzo introduce alla perfezione nelle atmosfere dell'album e, con un drumming forsennato che poi rallenta per poi riprendere a martellare seguito da un abile e gelido ricamo di chitarre e basso, ci presenta il succo dell'opera: battaglia (come in The Rite Of Infernal invocation in cui è presente un bellissimo e affilato assolo di Infernus) e funereo senso di smarrimento nel freddo (ascoltare Funeral Procession per credere).
Credo che parlare di ogni singola song sia superfluo. Quello che c'è da fare è solo ascoltare 'Under the Sign Of Hell' e venerarlo come disco unico (a mio avviso) nel suo genere, un lavoro assolutamente originale che dividerà... a buon diritto. Questa non è mica musica per tutti!
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