Gotye, questo strano personaggio. Alzi la mano chi non l'ha conosciuto tramite la sua super-mega-ultra hit (di cui non farò neanche il nome) che girava su ogni benedetto canale musicale audio/video. Se avete alzato la mano, stima per voi. Sapete già dove andrò a parare. Dicevo, quindi ti ritrovi a sentire per l'ennesima volta la sopra citata hit, ma senti che c'è qualcosa di più, bisogna indagare più a fondo. Ascolti tutto l'album. Capisci che ci avevi visto giusto. Il passo successivo all'ascolto di "Making Mirrors" è, paradossalmente, un passo indietro. Si dà il caso infatti che il ragazzo abbia alle spalle due dischi, pieni di polvere che va necessariamente spazzata via con un bel soffio. Vi si aprono le porte di "Like Drawing Blood". 

Non riuscireste a catalogare questo disco neanche sforzandovi. Il termine (cucito su misura) di "laptop music" non rende l'idea neanche lontanamente. Si tratta semplicemente di scoperchiare il cranio dell'artista, prenderne del sangue e spargerlo su una tela (la copertina in questo senso è evocativa). Ed allora, cos'è Gotye? E' groove, è gioco, è spensieratezza, è rimanere costantemente e piacevolmente spiazzati. E' sperimentazione allo stato puro, con un caldo cuore che pulsa all'impazzata. Il ritmo è la colonna portante del disco, batteria e percussioni sono onnipresenti. D'altronde cii troviamo di fronte ad un batterista con i fiocchi, in possesso di un pad che gli permette di giocherellare a suo piacimento con qualsiasi trama percussionistica. Penso di aver reso abbastanza bene l'idea. Se ci aggiungiamo una collezione sterminata di vecchi vinili condita da una particolare attenzione per il sampling e per la musica "vintage", lo scenario è ben delineato. Non c'è un pezzo uguale all'altro. Una galleria d'arte in cui non c'è una continuità, ogni stanza è colorata diversamente, ha una forma diversa, e all'interno c'è un'opera che non c'azzecca assolutamente nulla con le altre. Urgenza jazzy ("Puzzle With a Missing Piece"), dolci ballate ("Hearts a Mess"), montagne russe vocali ("Thanks For Your Time"), atmosfere "orientaleggianti" ("The Only Way"), forme pop/rock più standard ma sempre rielaborate in chiave personalissima ("Learnalilgivinanlovin", "The Only Thing I Know"). E ti pare addirittura di sentire urla e schiamazzi di strani animali provenienti dai sedili posteriori della tua auto ("Seven Hours With a Backseat Driver").

E' un viaggio dispendioso. Lungo la strada troverete un paesaggio dalle mille sfaccettature, curve tortuose (o forse dovrei dire sinuose), tanta ispirazione. Cogliere in pieno ogni singolo aspetto, ogni singolo particolare sarà un'attività lunga, ma allo stesso tempo dolcissima. Ed un solo viaggio non basterà. Alla fine però, mentre starete guidando indietro verso casa ("Night Drive"), vi accorgerete che è stato bello, interessante, stimolante. Che avete visto posti mai visti (stranissimi ma bellissimi), che vi siete divertiti. Rapiti da un percorso in cui non ci si può annoiare. Sempre in movimento, stare fermi è impossibile. Fisicamente e mentalmente. Torni a casa, stanco morto, ti stendi sul letto. Ma sai che lo rifarai. Ti è rimasta dentro tanta roba. La cosa più vistosa è un segno, proprio lì, dentro la tua testa. E' sangue, sangue misto: un po' belga, un po' australiano...

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