Adesso non ditemi che sono il solito piagnone nostalgico! Beh, forse un po’ lo sono, confesso. Ma c’è modo e modo per celebrare un amico che se ne va. E credo proprio che i Gov’t Mule con questo disco lo abbiano fatto nella maniera migliore. Per prima cosa non rinnegando sé stessi. A volte si ha la tentazione di affrontare una perdita attraverso dei cambi radicali. Non è mia intenzione star qui a sindacare se questo tipo di scelte siano giuste o sbagliate in generale. E’ comunque un discorso troppo soggettivo. Semplicemente credo non sarebbero state giuste per questi fieri sudisti che il blues ce l’hanno nel sangue da sempre, shakerato con quel tanto d’alcol e con una buona dose di orgoglio confederato. Gente che mangia polvere da una vita, e sa bene che alla polvere si ritorna.
Allen Woody non c’è più e il suo posto non può essere rimpiazzato così in quattro e quattr’otto. E non basteranno nemmeno una serie di ospiti pluri-decorati (tra i quali Jack Bruce, John Entwistle, Roger Glover e Flea) a farlo dimenticare. Però si può andare avanti con la consapevolezza che la musica riesce sempre a dare il giusto flusso al marasma delle nostre emozioni. E’ da queste premesse che nasce “The Deep End, Volume 1”, opera in cui la band sfoggia la solita brillante e poliedrica verve artistica, riuscendo a far confluire con maestria le più svariate influenze sulle fondamenta dell’adorato southern rock.
E’ inutile negarlo, questo è un disco che si trascina su di un mood inequivocabilmente malinconico, ma è altrettanto evidente che le vibrazioni parlano nel linguaggio di sempre: un sano, onesto e sudato rock'n' roll. Mastro Haynes è come suo solito rintanato nella preziosa fucina, a forgiare riff di metallo purissimo. I suoni ruvidi e saturi delle chitarre vengono però dosati, in favore di un lavoro più eclettico e di cesellatura. Al suo fianco il fido Abts dimostra il solito dinamismo, abile nel plasmare e adattare i ferri del mestiere ad ogni situazione. La passione si avverte lungo tutti solchi di questo disco. Nel blues viscerale di "Worried Down With the Blues", che vede la partecipazione di Gregg Allmann all’organo e alla voce. Oppure nello strumentale dal sapore fusion "Sco-mule", con un altro ospite d’eccezione: John Scofield. Il tempo scivola via senza nemmeno accorgersene, tra brani più energici ("Fool's Moon", "Life on the Outside") e irresistibili scariche funky ("Tear Me Down", "Down and Out in New York City").
Non mancano ovviamente le ballate cariche di feeling ("Banks of the Deep End" e "Beautifully Broken”), ma il valore aggiunto viene conferito dalle azzeccatissime cover, tra le quali mi preme segnalare “Maybe I’m a Leo” dei Deep Purple, “Effigy” dei Creedence Clearwater Revival e l’ultimo brano suonato con Woody, la tiratissima "Sin's a Good Man's Brother" dei Gran Funk Railroad. In definitiva un lavoro genuino, che mette in vetrina la solita voglia di improvvisazione, unita ad una rinnovata ispirazione compositiva. I Muli del Governo hanno caricato sul dorso un peso enorme, l’ennesimo, ma continuano imperterriti per la propria strada. Probabilmente non sanno fare altro che questo, ma lo sanno fare al meglio.
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