Salto l’introduzione, cominciamo subito col calcio giocato: traccia n.1, "Leavin Blues". Che non è un blues ma è quasi certamente il modo migliore per cominciare un disco: un bel ritmo swing molto sostenuto, voce energica, uno schietto riff di contrabbasso da 5 note. Dum-du-duu-duu-duu, Dum-du-duu-duu-duu... Siamo quasi al terzo minuto del disco e subentra "Cocaine Blues", che non c’entra nulla con quella di Clapton, a scanso di equivoci. E’ la rivisitazione di un brano tradizionale, nato tra i soldati americani spediti in Europa durante la grande guerra, quando l’esercito gli forniva cocaina come antidepressivo e stimolante: naturalmente gli effetti della falopa erano ancora poco conosciuti, e i soldati ci andavano a rota e continuavano a pippare come folletti anche dopo il congedo (“cocaine, cocaine/ they say it kills you but they don’t say when/ cocaine/ all around my brain”). Esistono diverse versioni di questa canzone, differenti sia nella melodia che nel testo, ma quasi tutte le cover realizzate dopo quest’album sono ispirate alla versione di Graham. E da qui in poi è tutto un via vai di folk-jazz, melodie orientali, arpeggi funambolici. "Rock Me Baby" è un blues da 12 battute, ma con una sessione ritmica swing ed una chitarra jazzante che poco hanno a che vedere col classico 12-bar-blues campagnolo. Seven Gypsies è una storiella medievale, una ballata per chitarra e voce. "Maajun" ricorda molto "White Summer" di Jimmy Page: scale pentatoniche, ritmo raga, arpeggi sitareschi e tablas. E così via. Un disco fluido, vivo, sfaccettato. Un disco geniale.
Sì ma chi è 'sto Davy Graham? Purtroppo qualcuno di voi se lo starà chiedendo sicuramente. E purtroppo la storia è piena di geni dimenticati e di cazzoni osannati. Gli innovatori seri che hanno ricevuto un giusto riconoscimento si contano sulle dita di una mano. E Davy Graham non è uno di questi.
Gli si attribuisce (a ragione, e senza dimenticare Sandy Bull) un ruolo fondamentale nella diffusione della world music, del folk jazz, del raga rock. E’ noto tra i musicofili come “quello-che-ha-inventato-la-world-music”. Questo significa che gente come Nick Drake, Van “the man” Morrison e Buckley sr. lo hanno saccheggiato alla grande, e ascoltando i dischi se ne ha la prova. Per non parlare dei vari gruppetti folk-rock-psichedelici inglesi che spuntarono come funghi a partire dal ‘66/67 (Pentangle, Fairport Convention...). Chitarristi come Jimmy Page, Bert Jansch, Mike Bloomfield e Peter Green dovrebbero almeno offrirgli una birra. E sicuramente gliela avrebbero offerta volentieri se ne avessero avuta l’occasione.

Ma allora perché si parla così poco di Davy Graham? Non chiedetelo a me. Eppure nei ’60 non se ne è stato certo chiuso nello sgabuzzino: era uno dei nipotini preferiti di S.M. Alexis Korner (il Mailsdèvis del blues), in due anni ti ha sfornato due dischi come "Folk Roots New Routes" e questo qua. Mica fagioli e cotiche. Uno così doveva fare il botto, altro che Nick Drake (vabbè, lui l’ha fatto in un’altra maniera), invece niente: dopo i ’60 Davy sparisce, esce di scena. Certo, continua a suonare, e anche con musicisti di tutto rispetto (Duck Baker). Registra poco però, e senza un’adeguata promozione. Lentamente viene dimenticato. Diventa un “artista di culto”. Bello. Per quello che gliene frega penso che preferirebbe avere il conto in banca di Jimmy Page.  Senza una lira siamo tutti poeti, ma andate a chiedere a Woody Guthrie se non avrebbe fatto a cambio di carta di credito con Bob Dylan…
Sàtana: “davvero rinunceresti ad essere un cantautore di culto per un paio di miliardi? ”
Woody: “sta' zitto e stacca...”
S.: “sei sicuro? guarda che non si torna indietro”
W.: “sì, sì, sbrigati che mi chiude il droghiere. ...Sì Edna, sto uscendo!... eddai...”
S.: [stacca l’assegno] Ecco a te. Mi devi un’anima...”
W.: “Vaffanculo. ”

Forse mi sono un po’ lasciato prendere la mano ma è così che vanno le cose, almeno credo. Resistere all’odore dei soldi non è facile. Chi ci riesce ne guadagnerà forse in gloria e leggenda dopo la morte, ma farà una vita di schifo. E allora il dilemma è sempre quello: un po’ come Achille, per capirci. Forse l'unica colpa di Devigràam è stata non crepare nel '71, come hanno fatto altre leggende del rock a cui non è stato dato il tempo né di confermarsi né di rovinarsi la reputazione. Davy Graham ha scelto una vita nell’ombra: non ha mai rivangato le vecchie glorie, non ha mai preteso la paternità -legittima o meno- di questa o quella nota (chi non ha pensato a Macca alzi la mano). Non so se non ha voluto o non ha potuto, questi sono affari suoi. Di certo però la sua musica resta, e quella non è un’opinione.

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John Fahey, “Fare Forward Voyagers” (1973). Genere: inclassificabile. E’ il Koln Concert della seicorde. Per chi crede che ascoltare più di mezz’ora di improvvisazione per sola chitarra acustica sia impossibile. Da sentire ad alto volume.

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