Greil Marcus non ci ha mai capito un c###o di niente e di musica in particolare, per cui glielo spiego io come funziona.

Funziona che qualcuno tira fuori, uno dopo l’altro, tre dischi splendidi e poi pubblica un disco dal vivo per frullare tutto in un vortice di passione.

È andata così per i più grandi di tutti e di sempre, i Ramones.

È andata così per Graham Parker: «Howlin’ Wind», «Heat Treatment». «Stick To Me» e poi «The Parkerilla».

Registrato tra Inghilterra, Galles e Stati Uniti, «The Parkerilla» è la fedele testimonianza di spettacoli infuocati, con Graham a sputare l’anima in interpretazioni pressoché definitive di alcuni cavalli di battaglia, guidando i fedeli Rumour in vere e proprie scorribande sonore dove soul music e pub rock si congiungono in un connubio memorabile, come se Sam Cooke vagasse sotto braccio a Wilko Johnson nei pub più malfamati di Londra.

È una corsa a perdifiato, «The Parkerilla», da «Lady Doctor» fino al capolinea di «Soul Shoes»: Graham ruggisce sempre e sempre più forte di brano in brano, i fiati rimbombano, le chitarre sgranano un rosario di riff groovy che non concede requie ad un pubblico che non chiede altro che di essere sfinito, la sezione ritmica sostiene il tutto.

Il solco è tracciato profondo, tra rock’n’roll, errebbì e p-funk.

Corre veloce Graham, ma i momenti migliori li vive quando rallenta. «Gypsy Blood» e «Watch The Moon Come Down» sono due ballate soul di una bellezza ammaliante, l’una in crescendo l’altra in diminuendo, e dimostrano con evidenza come Graham non sia un mero pub-rocker, men che meno il cugino scemo di Johnny Rotten.

Greil Marcus, «The Parkerilla» lo stroncò a suo tempo sulle pagine di Rolling Stone; qualche anno dopo, Rolling Stone incluse il live tra i migliori di ogni tempo, in una delle sue imprescindibili classifiche; Graham Parker se ne è sempre fregato sia di Marcus che di Rolling Stone, seguendo solo la sua passone.

Cosa pensi io Graham e dei suoi occhialoni da sole l’ho già scritto in lungo ed in largo, per cui mi stoppo e lascio a voi il giudizio su «The Parkerilla», considerando solo che senza questo disco nemmeno Claudio Sorge avrebbe concluso nulla della sua vita.

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