Prologo

Provateci voi a passare gli anni importanti della vostra vita ascoltando solo ed esclusivamente, a giorni alterni, Clash, Sex Pistols, Damned e Stiff Little Fingers; sono sicuro che non ne uscireste vivi, perché ci vuole una tempra bestiale, da Pinhead insomma, per venirne fuori.

Ho avuto un'adolescenza problematica, lo ammetto, ma quello che non uccide, rafforza.

E poi arriva sempre qualcuno a darmi una mano, magari in modo inconsapevole.

Prendete il mio adorato fratellone ... Una delle poche cose buone che ha combinato nella sua inconcludente carriera di musicofilo è stata quella di portare a casa «Live! Alone in America» di Graham Parker.

Come abbia fatto quel disco a tirarmi fuori dal tunnel non me lo spiego, però ha funzionato ed ora sono qui a raccontarvi un po' di storie sul mio ideale rapporto con il buon Graham – a proposito, lo sapevate che prima di piazzarsi a tempo pieno davanti ad un microfono, pare attendesse ad una pompa di benzina?

A prescindere dalle leggende metropolitane, su di lui nutro solo due incrollabili certezze: la prima, inforca gli occhiali da sole più terrificanti che uno stilista abbia mai concepito; la seconda, le copertine dei primi album sono orripilanti, in ordine di orripilanza la vince facile «Squeezing out sparks», a seguire «Heat treatment» ed «Howlin' wind»; quella di «Stick to me» invece mi piace, e pure di molto. Chiaro, sulla copertina di «Stick to me» Graham non si distingue.

Perchè, il Nostro le physique du role per suonare il rock'n'roll non ce l'ha proprio. E se pensate che all'epoca (fine '70, circa) il rock'n'roll passato, presente e futuro, è un ganzo come Bruce Springsteen, capite perché Graham non possa nutrire la benché minima speranza. Io, in cameretta, un poster con il faccione di Springsteen come su «Darkness at the edge of town» o «The river» me lo sarei appeso in quattro e quattr'otto, e ci avrei pure tappezzato i muri di tutta casa, se solo mammà e papà me lo avessero permesso; di Graham, penso che nemmeno esistano poster, un po' come per gli Undertones.

E questo è il primo punto a favore di Graham, perché a me gli sfigati, i perdenti, i losers, appellateli come preferite tanto la morale è sempre quella, mi affascinano terribilmente. Dieci miliardi di mosche hanno torto marcio, altroché; proprio come i miliardi di musicofili che in questa valle di lacrime a Graham non hanno mai concesso un'opportunità; e se non siete d'accordo, approntatevi a mangiar merda e pogare al ritmo di Billy Joel.

Atto primo – Innamoratooooo, sempre di piùùùùù ...

Con Graham è stato amore al primo ascolto.

Oddio, l'amore non scoccò tanto per le canzoni, quanto per una sua celia in «Live! Alone in America». Ad un certo punto se ne esce simpaticamente strafottente ad esclama: «Cazzo, io adoro questo Paese, se c'è addirittura chi pensa che Billy Joel faccia rock'n'roll! Io adoro questo Paese, e che Iddio vi benedica tutti»; la traduzione è molto libera, ma la sostanza è al cento per cento questa. E ditemi voi, se questo miserabile sottoproletario, solo su un palco con la chitarra a tracolla e dinanzi ad un cospicuo pubblico yankee, non sarebbe diventato immediatamente anche il vostro, di eroe personale, se solo aveste prestato orecchio a questi memorabili dieci secondi, ignoranti che non siete altro. Anche perché i Clash «I'm so bored with the U.S.A.» non la promossero granché nei loro tour a stelle e strisce, ed erano pure in quattro; Graham, da solo, va a suonare in the U.S.A. e prende pure per il culo il pubblico che lo va ad ascoltare.

Quest'uomo è un grande: Graham The Man, altro che Van!

Poi mi sono innamorato della musica, ci mancherebbe altro.

Perchè provateci voi, un'altra volta, a non collassare all'ascolto dei primi quattro lavori di Graham The Man.

Pare che fosse pub-rock, tradotto un po' rock'n'roll ed un po' proto-punk.

Se è così, Graham è stato (è) uno dei più grandi: perché se Carl Perkins arremba con «Blue suede shoes», Graham tiene botta alla grande con «Soul shoes», e ce n'è pure per Chuck Berry e la sua «School day» e chi conosce Graham sa precisamente a cosa mi riferisco e non può non darmi ragione, e per tutti gli altri sottintendo «Back to schooldays»; e se Springsteen si inventa una ballata da brividi come «Racing in the streets» (la più bella di sempre), lui risponde con «Watch the moon come down» (la seconda più bella di sempre); i Pistols urlano, sbraitano ed inveiscono in «E.M.I.» mentre Graham tira fuori dal cilindro quell'inno autentico che è «Mercury poisoning», matrimonio tra soul e punk come mai nessuno ha avuto, né mai avrà, l'ardire di celebrare (vabbè, forse i soli Redskins); e quando, insieme ai Rumour, si lanciano in «(Hey Lord) Don't ask me questions» e «Protection» sembrano quasi intonare ai contemporanei Clash, Stiff Little Fingers, Ruts e compagnia: «Fatece largo che passamo noi ...» e vi insegnamo a declinare alla nostra maniera il verbo reggae.

I Rumour, che Dio mi maledica, li ho reclusi tra due miserrime virgole, ma chi ha nel cuore Graham Parker, un posticino lo ha riservato di sicuro anche a Brinsley Schwarz e, di straforo, pure a Nick Lowe, e più siamo meglio stiamo. Brinsley e Nick qui li dico e qui li mollo e, prima o poi, in un altro momento di ebbrezza, li ritoverò, altrimenti che Iddio mi maledica e mi fulmini pure.

E poi ci sono tonnellate di vagonate di soul music, ma «Something you're goin' thru'» e «The heat in Harlem», una dopo l'altra, sono un proditorio attentato alle coronarie di ogni essere vivente, e come rende «Cupid» Graham Parker non ci sono uguali.

Atto secondo – Eppur mi son scordato di te ...

Poi, dopo qualche annetto perso a vagare senza una meta precisa tra i suoni di quelle fighette di Dream Syndicate e Green On Red, Giant Sand e Thin White Rope, Died Pretty e Plan 9 (tutti introdotti in casa dal mio adorato fratellone), Cupido arriva per davvero – perché non avevo dubbi che prima o poi sarebbe arrivato a scombinarmi le scarse idee confuse che mi assillano – e dimostra di conoscermi bene, lasciandomi in dono la passione sconfinata per i fratelli Ramone, il nomignolo Pinhead ed una chitarra elettrica nera come la pece, che ancora oggi maltratto in modo inverecondo.

Più o meno in quei tempi affollati, il mio fratellone, non sapendo come dilapidare un cospicuo patrimonio, di Graham Parker porta a casa pure l'antologia «Look back in anger»: e però, lui ancora pensa che Graham Parker sia il cantore dell'anima immortalato in «Live! Alone in America» e del pub-rock non sospetta nemmeno l'esistenza, io sono in altre faccende affaccendato, per cui «Look back in anger» conquista il poco invidiabile titolo di “disco meno ascoltato della discoteca” e Graham Parker piano piano, lentamente ma inesorabilmente, scivola via dai miei pensieri.

Nemmeno vale a riportarcelo una passioncella per i Dr. Feelgood, ché magari avrebbe potuto farmi balenare il ricordo di Brinsley Schwarz. Macché, niente, obnubilato completamente.

Il punk inglese su di me ha fatto danni, ma solo perché mi ha attaccato alle spalle quando ero un innocente fanciullino incapace di reagire; ma Cupido ed i fratelli Ramone sono stati letali, mi hanno affrontato di petto, e pur essendo un omone grande e grosso, mi hanno letteralmente annientato e fatto tabula rasa, come nemmeno Attila sarebbe stato in grado di fare.

Graham Parker, chi? Uscire a guardare la luna che si posa? Ma quando mai! Quando c'è la luna che splende in cielo, io vado fuori con la morosa a spassarmela e la invito ruvidamente a ballare, altroché (do you wanna dance under the moonlight ... do do do do you wanna dance).

Brutta storia.

Atto terzo – Mi ritorni in menteeeee ...

Dal tunnel dei Ramones non sono ancora uscito e non ne uscirò mai, semplicemente perchè non lo voglio.

Ma poi arriva sempre qualcheduno ad indicarmi dei fiochi barlumi, fosse pure in modo inconsapevole.

Una ventina di giorni fa, capita a casa uno a caso (il mio adorato fratellone), guarda distrattamente la copertina di una rivista musicale, prorompe nell'usuale: «Ascolti proprio musica a cazzo di cane!», poi guarda la quarta di copertina e mi fa «Ohhhhh, Graham Parker! Ma che, ce l'hai ancora il live?» Ha notato che è un uscito un best of di Graham e – un flash improvviso – gli torna in mente quel disco dal vivo comprato più di 25 anni fa.

Se per lui è un flash, per me è una mazzata tra capo e collo. Graham Parker non lo ascolto da un quartino di vita!

E sai che c'è? Che non riprendo in mano «Howlin' wind» o «Heat treatment» ma «Look back in anger» ed è una nuova mazzata tra capo e collo, tale da rendere quella che vi ho raccontato quattro righe sopra una carezza con una piuma del mio piumino Moncler, residuo di un infausto passato paninaro.

Mi dico: «Questo best of lo compro e lo regalo al mio adorato fratellone», magari è la volta buona che si innamora del Graham Parker tutto anima e nervi, quello che ogni santa sera che Iddio manda sulla terra si va ad ubriacare nel pub sotto casa e poi innesca una rissa dopo l'altra e poi la mattina arriva sempre tardi alla pompa di benzina e così il capo gli propina un cazziatone interminabile e lui alla fine tronca e lo manda affanculo e si licenzia ma quella non è la fine ma l'inizio della storia di Graham The Man che si piazza davanti ad un microfono a tempo pieno e prima arriva «Between you and me» poi «White honey» poi «Stick to me» e poi e poi e poi ...

Il disco mi è arrivato da un paio di settimane, me lo ascolto ed è bello per davvero, ma poi quando attacca «Protection», che ho già ascoltato un centinaio di volte, succede qualcosa, un po' come quando Graham lo ascoltai per la prima volta 25 anni fa, intento a prendere per il culo Billy Joel.

Al mio adorato fratellone il disco lo darò fra qualche giorno, e spero che vada come deve andare.

Intanto, di Graham Parker mi sono follemente e nuovamente innamorato io, ed è un sentimento pure più forte della prima volta, o forse solo più profondo, perché il tempo perso da recuperare è tanto.

Epilogo

Fine della storia, che però ha tante morali: la prima è che Lucio Battisti è un grande, non quanto Graham Parker, ma è un grande; la seconda è che il mio adorato fratellone ha portato a casa una marea di dischi semplicemente strepitosi; la terza è che questa recensione è uno dei più preziosi frammenti di un personale discorso amoroso e che io potrei essere il novello Roland Barthes, se non io non vedo chi.

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