Graham Parker rappresenta assieme a Elvis Costello e Joe Jackson una delle figure di maggior spessore di un certo rock d'autore d'oltremanica. Meno nevrotico e beat dell'occhialuto emulo di Buddy Holly, meno sofisticato e ricercato dello spilungone di Portsmouth, lo si potrebbe idealmente collocare a metà strada fra i due. Partito, come i suoi due conterranei, negli anni settanta proponendo una sorta di pub-rock virato punk poco incline ai compromessi del mercato discografico, ha sviluppato nel decennio successivo una maggiore attitudine verso una più convenzionale canzone d'autore senza peraltro mai scadere nel manierismo.
Il successo commerciale nemmeno sa cosa sia, tant'è che questo album realizzato nel 1988, giunse a distanza di tre anni dal precedente, in verità deludente, "Steady Nerves", dopo che la sua casa discografica (la Elektra) lo scaricò per il pesante passivo accumulato. Accasatosi alla RCA, non senza fatiche e traversie, si ritrovò praticamente a dover gestire un budget ridicolo per realizzare quello che risulterà essere il suo disco più convincente del decennio se non il suo migliore in assoluto. L'etichetta di eterno perdente non riuscirà a staccarsela nemmeno stavolta, ma il disco tiene botta e riversa sull'ascoltatore una serie di splendide ballate alternate ad altri brani dal piglio più nervoso ed immediato.
Non deve trarre in inganno l'indole cantautorale che lo contraddistingue, poiché molti appassionati di musica collegano questa figura al depresso (e deprimente) di turno che ci ammorba, munito d'immancabile chitarra classica, con tediose liriche, piatto forte se non esclusivo delle proprie composizioni. A tal proposito si ascoltino brani come "Don't Let It Break You Down", "Ok Hyeronymus", "Get Starded Start A Fire" e "Back In Time" per fugare ogni dubbio al riguardo. Certo non mancano i momenti più intimisti come nella sognante "Blue Highways" dal sapore vagamente Sprigsteeniano oppure nell'autoironica "Success" che sembra uscire da una Cadillac anni cinquanta. "I'm Just Your Man" invece rappresenta la classica ballata per antonomasia sostenuta da una lieve, ma presente, sezione ritmica e da una chitarra elettrica placcata anni sessanta. In chiusura un omaggio a Sam Cooke con una struggente versione di "Cupid", una delle tracce più famose lasciate in eredità da uno dei padri fondatori del soul. Un disco del 1988 ma che poco ha da spartire con i controversi anni ottanta.
Graham Parker dopo questo lavoro continuerà a celarsi dietro ai suoi occhiali scuri ben conscio del fatto che la ribalta non gli appartiene e sfornerà ancora qualche disco degno di menzione fino ad eclissarsi quasi definitivamente vittima di un music-business spesso ingrato con i meritevoli, ma beffardamente generoso con figure immonde.
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