“Noi dobbiamo restituire ciò che abbiamo preso dalla Terra”.

Questo è uno dei messaggi che ci lanciano i Grand Funk Railroad, un gruppo che ha scritto alcune delle pagine più emozionanti dell’hard rock a stelle e strisce. E affondando le mani nelle viscere della propria Terra, quello che ci hanno restituito è pura energia. Un sound ruvido, quasi primitivo, ma di un impatto devastante.

Amplificatori a palla, chitarre al vetriolo ed una sezione ritmica compatta e travolgente. Le melodie create dagli splendidi impasti vocali a fuoriuscire come raggi di sole da questo muro sonoro. I Grand Funk conquistano l’America grazie ai propri live shows adrenalinici e debordanti. In faccia alla critica, ancora annebbiata dai fumi pseudo-intellettuali dell’estate psichedelica, che li definisce come apostoli di una musica rozza e volgare. La gente invece li ama proprio per questo, per il loro distanziarsi dalle pose intellettuali e per la sincera ingenuità che li erge a paladini della working class e delle cause umanitarie.

Ma la loro non è una violenza sonora fine a se stessa, quanto una sorta di auto-catarsi, un mezzo per convogliare la rabbia in energia positiva. Se il precedente “Live Album” fu l’esaltazione di quel suono primordiale, il successivo “Caught in the Act” invece fotografa il gruppo all’apice della propria popolarità. Il power-trio da anni ormai è diventato un quartetto, con l’introduzione del tastierista Craig Frost, e con l’ultimo studio album "All the Girls in the World Beware!!!" ha appena imboccato la svolta verso un pop-rock che decreterà l’inizio della parabola discendente.

Nonostante questa dovuta premessa, l’opera in questione risulta essere per il sottoscritto la migliore testimonianza lasciata dal gruppo. Dai ritmi pulsanti di "Footstompin' Music" e “Some Kind of Wonderful” fino allo splendido inno antimilitarista “Gimme Shelter”. “La guerra è lontana solo uno sparo”. Scorrono i capolavori di una carriera. “I’m your Captain / Closer to Home” è uno splendido viaggio nei mari dell’emozione, con le sue molteplici stagioni e lo splendido intervento di un mellotron. “Heartbreaker” scava invece nelle radici rhythm’n’blues, alternando momenti delicati e sofferti a scariche di elettricità. Elettricità che resta sempre il filo conduttore, sia nelle hit più fortunate “We’re an American Band” e “The Loco-Motion” che negli orgasmi strumentali di “Inside Lookin’ Out” e “T.N.U.C.”. Ad impreziosire il valore di questo disco ci sono infine due canzoni spesso trascurate in sede live, come la autocelebrativa “The Railroad” e la selvaggia “Black Licorice”, nella quale le urla selvagge di Brewer sono degne del miglior Ian Gillan.

Se non vi lasciate spaventare dai ruggiti di un basso distorto ed incalzante.

Se pensate di poter reggere alla violenza percussiva di un martello pneumatico.

Se infine credete di essere in grado di resistere anche ai riff tellurici e alle grida lancinanti dell’indio Mark Farner, allora questo è il gruppo che fa per voi!


"A cosa servono tutte le rock band di oggi se ci sono già stati i Grand Funk Railroad?" Homer Simpson

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