Flint, Michigan, città-dormitorio sviluppatasi cinquant'anni fa in seguito al boom della Ford ma oggi ridotta a una città fantasma, fra le sue case in rovina sopravvive solo qualche famiglia di vecchi e un pugno di disperati. Da queste parti il nascente rock duro dei sessanta/settanta dovette fare i conti con l'imperante rhythm'n'blues, Detroit e la gloriosa etichetta Tamla Motown erano veramente a un passo di là dal fiume, le radio locali eruttavano il nuovo verbo rock ma soprattutto black music 24 ore su 24, tutte le più grandi stelle di colore venivano lì vicino a registrare e a tenere concerti seguitissimi.
I Grand Funk Railroad crebbero a Flint, amavano i Cream e Marvin Gaye, Jimi Hendrix e Otis Redding e così, per quanto bombastico e caciarone il loro rock fosse nelle intenzioni e nella realtà, il calore e l'anima della musica nera lo hanno sempre attraversato rendendolo unico ed irripetibile, scandalosamente sottovalutato da tanti appassionati che tengono presente solo la parte finale della loro carriera, più commerciale e annacquata.
In questo disco dal vivo del 1970 il rhythm'n'blues è però messo al minimo e non c'è certo traccia di annacquamento! I Grand Funk sono giovani, agli inizi di carriera, davanti alla folla immensa dell'Atlanta Pop Festival e allora ci danno dentro di brutto. E' un disco dal vivo come se ne pubblicavano una volta, con il pubblico giustamente alto nel mix, incertezze (poche) e cappelle (tante) lasciate ben in vista e non corrette in studio. Risultato: tiro pauroso, energia a livelli atomici, più che adeguata perizia strumentale asservita totalmente a far andare la gente davanti a loro fuori di melone. Perfettamente riusciti in questo.
A far casino sono solo in tre: Mark Farner è il leader, cantante e chitarrista, un meticcio (pellerossa e biondo!) coi capelli lisci fino al culo e una voce alta e penetrante piena di soul, picchia come un fabbro sulla chitarra (tutta di metallo, color verde mimetico e con distorsore incorporato, oggi gloriosamente esposta in un Hard Rock Cafè) ma a cantare ha imparato dai fratelli neri e si sente e si gusta. E' viva la sua voce, violenta e piena di anima, stecche comprese. A sostenerlo c'è il bassista più rumoroso di sempre, Mel Schacher si aiuta con un distorsore per avere un suono che dire corposo è un eufemismo, è proprio grasso, grosso, bisonteo, i suoi riff geniali e ripetitivi tengono in piedi i pezzi e fanno tremare le casse dello stereo. Il batterista Don Brewer dà una mano a Farner nei vocals ma più che altro ci dà dentro a tenere il ritmo, con ottima tecnica e velocità.
Sono ottanta minuti d'inferno, dall'iniziale Are You Ready sommersa per buona parte dall'entusiasmo del pubblico, al bis Into The Sun, con due sole pause per rifiatare, il blues Heartbreaker e la pianistica Mean Mistreater.
Curiosamente in commercio si trovano versioni del cd sia doppie che singole (l'LP del 1970 è doppio). I Grand Funk ancora oggi fanno concerti in Usa (senza Mark Farner, che gira con un suo gruppo). Sono miliardari ma non se la tirano, giusto Brewer che gioca a golf e in borsa , Schacher alleva e protegge cervi selvatici nelle foreste del Michigan, Farner è attivissimo con Greenpeace e nelle iniziative a favore dei nativi americani. Gente con le palle, i grezzi sono altri. Sono nella storia del rock.
Carico i commenti... con calma