"Hammer Of The North" del 2010, aveva dato la sensazione di un appiattimento generale del sound dei Grand Magus: un album che rispetto alle uscite precedenti non aveva convinto, pur restando un cd sufficiente. Motivo per cui l'uscita di "The Hunt" (25 maggio 2012), era atteso come il lavoro della svolta: dai Grand Magus ci si aspettava o l'album del rilancio o quello della definitiva dipartita dagli elevati livelli dell'heavy metal partorito in album come "Monument" e "Wolf's return".

I Grand Magus nascono nel 1999, a Stoccolma, in Svezia, per volere del singer e chitarrista JB Christoffersson. Gli esordi sono caratterizzati da un heavy metal sporco e tremendamente influenzato dallo stoner più epico e grezzo, mentre con il passare degli anni questa peculiarità è andata lentamente a farsi benedire, prima di perdersi del tutto proprio con "Hammer Of The North". La nuova fatica prosegue su queste coordinate, anzi ripropone un metal classico come da molto non si ascoltava (tracce di stoner si percepiscono solo nell'intro della finale "Draksadd"). Nulla che possa cambiare i connotati del genere, ma sicuramente tanta attitudine vintage e appunto "classic" che i fans dell'heavy metal più tradizionale ameranno senza indugi.

Per far questo il trio svedese punta sulla semplicità della proposta, dando vita a nove pezzi dal minutaggio contenuto, eccezion fatta per "Son of the last breath", divisa in due parti: la prima molto evocativa e drammatica, nella quale presta voce Johnny Hedlund, vocalist degli Unleashed, la seconda più metal oriented. Song ottimamente riuscita, sicuramente il picco del cd.

Quello che più convince del nuovo lavoro dei GM, è l'andare in controtendenza rispetto a tutto ciò che riguarda questo genere, per quanto fatto negli ultimi anni. Mentre le maggiori realtà tentano un cambiamento fatto di sperimentazioni e trovate iper computerizzate, mentre altri cercano un sound maggiormente easy listening per accaparrasi un pubblico che sembrano aver smarrito, Christoffersson e soci tornano a puntare sulla semplicità, su di un'heavy metal profondamente ancorato alle solide basi degli anni '80. Ad ascoltare pezzi come l'iniziale "Starlight slaughter", "Valhalla rising", o la tiletrack, viene a galla il chiaro riferimento a Judas Priest, Iron Maiden e in parte minore ai Saxon dell'ultimo periodo, quelli maggiormente epici.

Quindi la solita menata heavy già sentita centinaia di volte? Forse si, ma da tempo non si ascoltava un lavoro di questo tipo, in cui l'epicità, i riff taglienti e i chorus anthemici, cioè tutti elementi cardine dell'heavy metal degli eighties, vanno a costruire un matrimonio convincente e ben riuscito. Per i Grand Magus un ritorno importante, un passo avanti rispetto all'anonimo "Hammer of the north".

Tre pallini e mezzo.

1. "Starlight Slaughter" (4:19)
2. "Sword Of The Ocean" (4:28)
3. "Valhalla Rising" (4:52)
4. "Storm King" (4:23)
5. "Silver Moon" (4:44)
6. "The Hunt" (5:25)
7. "Son Of The Last Breath" (6:50)
8. "Iron Hand" (3:44)
9. "Draksadd" (5:48)

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