Mi ricordo? *

Certo che mi ricordo. Mi ricordo gli orribili, bellissimi baffi a manubrio di Greg Norton. Mi ricordo quei tre, in calzoni corti: miti in braghette di tela, icone improbabili e immediatamente adorabili.Mi ricordo il trio di Minneapolis entrare in scena e attaccare subito il primo pezzo e poi snocciolare, una dopo l’altra, con lo stesso ordine nel quale comparivano sul doppio lp, tutte le songs di “Warehouse: Songs And Stories”: un flusso di energia, velocità, melodia, tensione. Ma quel che ricordo di più è lui.
Quella faccia da schiaffi, quella strana combinazione tra le serrate figure ritmiche disegnate dalla sua batteria e le linee melodiche riconoscibilissime, fresche e dirette, sempre un po’ storte, che la sua voce riusciva a dispensare sul flusso sonoro che viaggiava dal palco in direzione delle nostre orecchie. Ricordo che mi domandai come facesse a governare quella apparente dicotomia. E ricordo che mi piaceva quella voce, anche più che su disco. Poco tempo dopo sarebbe tutto finito: gli Hüsker Dü non avrebbero festeggiato il loro 10° compleanno, a causa delle tensioni ormai inconciliabili tra i tre, pare derivanti anche dall’ eccessiva dedizione di Grant alle sostanze.

Era il 1987, e tra i tanti concerti che so di aver visto (per alcuni non posso garantire, negli ’80 ero un po’ confuso) quello fu uno dei più asciutti, semplici, diretti. Ridendo e scherzando son passati quasi vent’anni e quel che ho guadagnato in “lucidità” l’ho perso in “entusiasmo”. E naturalmente capita sempre più raramente di tirare fuori vecchi dischi, spesso consumati, legati a quel periodo. Ma qualcuno, e non sempre i migliori, trova comunque il modo di tornarmi in mente, portandosi appresso, sorprendentemente, lo stesso gusto che assaporai al tempo.Così ieri sera ho riascoltato il primo album solista di Grant Hart. Beh, ragazzi, credo di capire perchè mi piaceva così tanto. Non è un capolavoro: non date retta a chi trasforma ogni cosa abbastanza “vecchia” e poco nota in un’opera imperdibile. Pare sia uno sport molto diffuso, ma è un pessimo servizio anche verso gli stessi dischi dei quali si parla, secondo me.

In “Intolerance” si sente il desiderio di cambiare strada, di muoversi in una dimensione completamente autonoma, evitando di nascondere i fantasmi che ancora popolano il presente. E’ come il piccolo scrigno di un ex ragazzo, già consegnato alla “storia” da un recentissimo passato, che si lascia andare, che sceglie di “lasciarsi” suonare. E lo fa in perfetta solitudine: firma ogni pezzo, suona tutti gli strumenti (con una inconsueta predominanza dell’organo) canta, produce il disco. Sfornando una eterogenea raccolta di canzoni dove la sua florida vena melodica (ha sempre avuto una squisita anima melodica, il superdrogato degli Hüskers) incrocia anche le zone di una malinconica disillusione, si spoglia sino all’essenzialità, inventa un anello senza parole che rotea sorprendentemente minimale, acido ed ipnotico, al centro del disco, generato da un organo. Mi piaceva da pazzi, all’epoca “Roller-Rink” e non ho mai capito cosa, perchè… Dispiega la sua voce aperta sino all’urlo - energia e sincerità, imperfezione e dolcezza - o la piega ad un registro insolito, stralunato e bizzarro, o intimo, quasi sussurrato.
Dolcezza graffiata e slabbrata, vitalità “maledetta” ed intensità sommessa e controllata, commossa. Come suona vera e vibrante, ancora oggi, “She Can See the Angels Coming”. Insomma, una strana creatura che riesce ancora a dispensare piccoli stupori. E forse, se siete predisposti, imprevisti entusiasmi. Un disco da riscoprire senza attendersi troppo, per gustarsi le molteplici e imperfette facce di un’adorabile faccia da schiaffi. Delle successive tappe della sua carriera non ho voglia di parlare: non suscitano in me la stessa curiosa tenerezza che ho provato riascoltando “Intolerance”.

Continuo a conservare il vinile e non ho notizie riguardo la reperibilità in cd. Ma mi sono procurato una versione “incorporea” per poter allegare i soliti numerosi samples. Ci si vede, bei giovani.

* Hüsker Dü, in danese, significa ”ti ricordi?”

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