I Grateful Dead, ovvero la quintessenza della Psichedelia. E non quella fighettina, tirata a lucido, dei Floyd post Meddle e nemmeno quella mielosa e poppetara dei Beatles; ma quella grezza, malata e bastarda; figlia del blues che strisciato fuori da una palude fangosa decide di calarsi una dose di mescalina e volare verso le infinità dello spazio.

Padri di una discografia pressochè sterminata (ad onor del vero, non sempre all'altezza), i Grateful nascondono tra i loro studio album alcune perle come Aoxamoxoa e American Beauty, solo per citare le più famose; ma è solo dal vivo che i Dead mostrano il loro intero e spaventoso potenziale; ambito nel quale si divertono, spesso sotto l'influsso di dubbie sostanze, a sconvolgere la struttura dei loro brani in lunghe ed entusiasmanti jam-sassion che arrivano anche a superare tranquillamente i 20 minuti di durata. Non a caso, l'apice della loro produzione è lo strepitoso doppio Live/Dead, pietra miliare del genere e della musica tutta, che contiene tra le altre cose Dark Star, IL brano simbolo della psichedelia, uno di quei brani capace di spazzare via intere discografie.

Dopo quest'album la band, probabilmente accortasi troppo tardi di avere avuto la pessima idea di pubblicare uno di quei Capolavori che ti perseguiteranno per tutta la carriera e metteranno in ombra tutto ciò che farai da quel momento in poi, decide anche per evitare ingombranti confronti col proprio passato, di sterzare un po' di lato, aggiungendo al loro suono elementi country che finalmente faranno conoscere il gruppo in anche alle grandi masse statunitensi; meno deliranti rispetto agli inizi ma sempre di ottima fattura.

Così dopo due album molto amati dal pubblico, il gruppo decide di tornare ad incidere un nuovo live, sempre doppio, in teoria battezzato Grateful Dead ma noto ai più, causa la splendida copertina, come Skull & Roses. Premetto subito che l'album non raggiunge i fasti del primo live (come potrebbe d'altronde? dischi così si incidono, sempre che si sia tra i pochi, forunati gruppi prescelti, una sola volta in carriera) ma è pur sempre un'ottima, nonchè gradevolissima testimonianza di questo straordinario gruppo nella seconda fase della loro carriera. Visto il recente passato spiccano maggiormente, rispetto a Live/Dead, le sonorità Blues/Country e sono presenti un maggior numero di pezzi dal minutaggio ridotto, ma non mancano anche echi più marcati delle sonorità degli esordi, come nei 18 minuti di "The other one" o nei due pezzi finali, entrambi sfioranti la decina di minuti.

Insomma un degno manifesto di quello che i Grateful erano a quel periodo, un gruppo storico e all'apice della sua maturità. Seguirà un altro mastodontico triplo registrato nel primo tour nel vecchio continente (Europe '72, sempre interessantissimo) e poi la band entrerà in una momentanea fase di stagnazione creativa, a cui seguirà una carriera dai toni più dimessi, ma ancora aperta alle sperimentazioni e capace di guizzi creativi, come dimostra anche il buono e sperimentale "Blues for Allah".

Peace & Love!

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