Chi non muore si rivede.

Cominciare una recensione con una battuta alquanto scontata non è il massimo, lo so. Ma quando si parla dei Grave Digger la scontatezza, o per altri la coerenza, è diventata ormai un marchio di fabbrica. Devo anche ammettere che mi sono avvicinato a questa nuova uscita dei Digger con le aspettative molto basse, e prevedendo di ritrovarmi all'ascolto, con un album parecchio scontato. Sembra difatti che da un paio di anni a questa parte, il gruppo di Chris Boltendahl si sia adagiato sugli allori. Se vogliamo andare indietro nel tempo, e cercare un disco che abbia tutte le componenti per essere giudicato un album che rispecchi tutte le caratteristiche dei Grave Digger, dobbiamo tornare nel 2003, anno di uscita di "Rheingold", concept album basato sulla Saga de Nibelunghi, suonato e descritto in maniera ottima dal combo tedesco. Un cantante in ottimo spolvero, una sezione ritmica devastante, e canzoni che alternavano ritornelli melodici e ben orecchiabili a potenza nelle strofe, e nei pre chours da far rabbrividire. Ma poi?

Dal 2003 ad oggi, le uscite dei Grave Digger si sono sempre alternate fra il sufficiente ed il buono, con album che tentavano di rievocare lo spirito della trilogia medioevale (The Clans Will Rise Again - 2010), altri che volevano riprendere l'energia degli esordi (Return Of The Reaper - 2014), e altri inutili concept che sembravano esser usciti tanto per far vedere ai fan che i Grave Digger erano ancora vivi e vegeti, ma che mancavano di ispirazione, pur essendo musicalmente buoni (The Last Supper - 2007)(Clash Of The Gods 2012). Va però aggiunto che il genere dei Grave Digger non sia proprio uno di quei generi sempre rinnovabili, e che quindi prima o poi, è inevitabile che si cada nel riciclo sia di canzoni, che di tematiche, pur di non esser dimenticati dai fan. Detta così sembra una sorta di legge del più forte, ma l'ho sempre vista così. Questo ultimo particolare se vogliamo, gioca a favore dei Grave Digger, ma non così tanto da poterli esimere dal giudizio finale. Difatti, il motivo per cui è principalmente conosciuto questo gruppo è la voce del suo carismatico leader, nonchè fondatore, Chris Boltendahl. Il motivo è semplice, voce roca, quasi fastidiosa, potente ed inconfondibile. Negli anni, come è normale, questa potenza è gradualmente diminuita, e negli ultimi ascolti sembrava di sentire sempre più un Boltendahl fiacco, stanco, aiutato nei ritornelli, da sempre trademark della band, da secondi voci.

L'uscita di questo "Healed By Metal", perciò portava con sè tanti, tantissimi dubbi su che cosa ne sarebbe uscito fuori. Partendo dal titolo, che è uno dei più osceni e tamarri che abbia mai letto in vita mia, che mi sarei aspettato da gruppi come i Manowar, ma non dai Grave Digger. Coertina invece sempre molto bella e ricca di particolari, come solito del gruppo da dieci anni a questa parte.

Ciò che si aspettava prima dell'ascolto, viene purtroppo confermato. Canzoni ben strutturate, con ritornelli potenti e riff decisi e graffianti, ed altre noiose e prevedibili, irrimediabilmente già sentite. Abbiamo per esempio la Titletrack, creata per diventare un anthem nei concerti, riuscita alla grande, seppur un ritornello abbastanza bambinesco "Healed by metal, we rock!", o anche "Kill Ritual", veloce e devastante come ci aspetta da un gruppo come i Grave Digger, e ancora "Free Forever", più melodica nel ritornello, con uno stacco acustico nel mezzo, ma che ha richiami eccessivi a "Terminal Velocity" dei Saxon sopratutto nella sezione ritmica. Ovviamente non poteva mancare la canzone pacchiana, e nel mezzo del disco troviamo "Ten Commandments Of Metal" (vi sfido a trovare titolo più tamarro), buona ma nulla più. "Laughing With The Dead" è il tentativo fallito di creare un mid tempo roccioso e potente come lo fu ai tempi "The Bruce", mentre invece la precedente "Hallelujah" presenta un bel ritornello e una grande energia, con un basso in grande spolvero. Decisamente belle sono le due canzoni bonus, "Kingdom Of The Night" e "Bucket List", che non avrebbero assolutamente sfigurato nel CD, prendendo lo spazio di altre canzoni più inutili e skippabili.

Quello che resta alla fine dell'ascolto è la sensazione di aver finalmente ritrovato i Grave Digger in uno spazio più consono alla loro attitudine, mettendo finalmente da parte i vari concept album, dove il gruppo aveva dato il meglio di sè negli ultimi anni 90, e dove aveva ultimamente perso l'ispirazione. Quello che mi costringe a dare 3 stelle a questo disco è il fatto che Boltendahal e soci non si spingano mai oltre il compitino bienalle (o triennale in questo caso), ossia un album fatto tanto per far vedere che sono ancora sulle scene (come detto prima), ma che non soddisfa mai a pieno, Potrei fare questo stesso discorso con i Saxon, o gli Accept, ma la differenza è che questi ultimi sanno come realizzare un disco e hanno ancora l'ispirazione, cosa che a mio parere, i Grave Digger negli anni hanno in parte perso. "Healed By Metal" è perciò assolutamente un buon disco per ogni buon fan dello Speed/Heavy Metal che si rispetti, ma che non riesce a raggiungere più di una sufficienza per il fatto di suonare come un qualunque album dei Grave Digger dal 2003 ad oggi, anonimo. Divertente sì, ma anonimo.

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