"Alla scoperta del Death Metal dimenticato" parte sesta: rimaniamo in Scandinavia e parliamo un po' di quei tre/quattro (a seconda dei momenti della loro carriera) tizi che sono i Grave. Il nome già dice tutto di questi tre/quattro svedesi; semplici, concisi, Death metal.
Nascono come trio addirittura nel 1986 sotto il nome di Corpse quindi, l'anno dopo, diventano i Grave ed esordiscono con la Demo "Black Dawn"; bisogna tuttavia aspettare il 1991, anno in cui firmano un contratto niente meno che con la Century Media e pubblicano la pietra miliare "Into The Grave". "You'll Never See" viene pubblicato l'anno successivo, in un contesto musicale completamente cambiato; nella vicina Norvegia era in procinto di esplodere il fenomeno Black e già si iniziava a parlare di Burzum, Mayhem, Immortal e Darkthrone. In Inghilterra i Napalm Death, i Carcass e i Benediction monopolizzavano il panorama Death mentre i Paradise Lost aprivano nuove strade. In Olanda si ascoltavano Pestilence e Asphyx e di lì a poco anche i Sinister avrebbero fatto la loro comparsa: in Germania, invece, Sodom, Destruction e Kreator regnavano indisturbati.
In America, poi, stava succedendo il quarantotto: i Death iniziavano a sperimentare, gli Obituary a non sperimentare, i Deicide sbancavano con "Legion", i Morbid Angel con "Blessed Are The Sick" e l'anno dopo anche con "Covenant" e i Cannibal Corpse e i Suffocation facevano a gara a chi ce l'ha più lungo (rivisitazione freudiana della nascita del Brutal Death Metal). E poi ancora gli Immolation, i Malevolent Creation, gli Autopsy, i Gorguts e chi più ne ha più ne metta: e in Svezia? In Svezia stavano morendo tutti i gruppi Death: i Carnage erano un ricordo, gli Entombed navigavano verso il Death Rock, i Dismember strizzavano l'occhio al Black e invece qualcuno già parlava di Death Melodico (il nome Unanimated vi dice niente?). In poche parole i Grave si trovavano da soli a difendere il vessillo del Death Metal duro e puro in una terra che stava perdendo interesse in questo genere musicale; che fecero allora i Grave in risposta? Pubblicarono un bel macigno di Death cazzuto che avrebbe fatto impallidire "Left Hand Path". Niente chitarre "a motosega" (come piace tanto definire la distorsione degli Entombed) e un forte desiderio di gridare "Death Metal" fanno di questo disco un vero classico.
I Grave dimostrano di essere notevolmente migliorati dal precedente Lp sotto il profilo tecnico anche se le ingerenze del Thrash e in generale la concezione Europea di Death metal gli impediscono di fare chissà che: una canonica prestazione da disco Death Old School, vale a dire un album suonato bene e con precisione ma non superiore per difficoltà al Thrash più veloce. E d'altra parte, in un momento storico musicale in cui il Death era una novità, non si può pretendere che i nostri cercassero di innovare al novità con i virtuosismi; questo lo faranno uno o due anni più tardi gruppi statunitensi come Deeds Of Flesh, Cryptopsy, Gorguts e Dying Fetus, quando inizierà a farsi sentire il bisogno di un estremismo ancora maggiore.
I Grave per ora stanno bene così e in un certo senso sono anche compiacenti di non cambiare di una virgola. Riffing potentissimo coadiuvato da un miraggio da manuale rendono quest'album un colosso, un maledetto bulldozer. Anche in questo disco si può notare una preferenza per delle specie di Mid Tempo o meglio delle canzoni in cui i rallentamenti sono frequenti e importanti, non solo degli espedienti per variare un po'. Come in tutti i lavori di Death primordiale, il Blast Beat è abbastanza evitato perché considerato prerogativa del Grindcore, sottogenere troppo imbastardito con l'Hardcore Punk per i puri Death Metaller. Il riffing, come dicevo, è ancora legato agli stilemi del Thrash ma indubbiamente più grasso, così come il drumming forse un pochino noioso (se escludiamo qualche piacevolissimo controtempo, per il resto è qualcosa di già sentito). Belle invece le otto canzoni, tutte ben composte; non c'è dubbio infatti che i Grave, rispetto ad altri colleghi quali i Cadaver, scrivano canzoni molto migliori (a dimostrarlo c'è anche la durata delle singole canzoni, sempre superiore ai quattro minuti). Infine come non citare il cantante, anche chitarrista, dotato di un growl degno di questo nome anche se non molto cavernoso.
Ma insomma questo ciclo di recensioni non vuole andare a fare le pulci a questo o quel complesso per come suona, lo scopo è solamente riportare a galla qualche nome dimenticato, anche se i Grave continuano a provarci ancora oggi; difatti la band non si è mai sciolta è continua a pubblicare album (l'ultimo è di appena tre anni fa), avendo però fatto poco o niente per tenersi al passo coi tempi e continuando a proporre in maniera anacronistica un Death Metal grezzo e troppo Old School (comunque con risultati molto migliori ai Cancer e ai Cadaver). Ciò però nulla toglie ai loro primi due lavori, vere pietre miliari del genere e chiarissimi esempi di Death Metal.
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