Grazia Deledda, prima donna a ricevere il Nobel per la letteratura, é oggi semi dimenticata. La maggior parte delle sue opere, all’infuori di “Canne al vento” sono difficili o impossibili da trovare. Tra le più reperibili vi é “Elias Portolu”.
La Deledda ci narra della sua Sardegna, la Sardegna profonda di inizio ‘900, con i suoi paesaggi e le sue tradizioni ancestrali. Le descrizioni ambientali e bucoliche accompagnano il lettore attraverso le stagioni, parlandogli indirettamente del calore cocente dell’estate e del gelo invernale. La narrazione é, come in molto suoi libri, tesa a sottolineare lo scontro tra una tradizione ed un costume molto rigidi, ancorati nel passato ed in una fede che é unica cultura della povera gente, ed un rinnovamento della società e delle leggi implicite che la controllano.
La scrittura di Grazia Deledda é curata, con un uso che trovo splendido dei due punti e del punto e virgola, della cui esistenza spesso altri scrittori di dimenticano. Il vocabolario, arricchito da termini in lingua sarda, é fresco e non risente particolarmente dei cento anni trascorsi. Amo la prosa di questa donna.
Elias Portolu, figlio di pastori, rientra a casa dopo aver scontato una pena carceraria sul continente per non si sa quale crimine. E' diventato un uomo di cacio fresco: il carcere ha fiaccato il suo spirto ed il suo corpo, l’ombra della cella lo ha reso pallido come una ragazza.
Durante una delle festività religiose che scandiscono il tempo dei pastori, incontra la promessa sposa di suo fratello, e pochi sguardi sono sufficienti per rovinare la sua vita. Nessuna parola é necessaria: gli occhi lucenti di Maddalena, che lo seguono, accendono il fuoco nelle sue vene.
Questo fatto mette Elias in una posizione difficilissima. Confessare all’amato fratello la loro passione, offendendolo in modo irrevocabile ? oppure tacerla, ed affrontare la terribile convivenza che ne sarebbe conseguita, quando lei si sarebbe trasferita a vivere a casa Portolu? Straziato dal dubbio, trova le sue uniche consolazioni nel vecchio zio Martinu, saggio pastore del pascolo limitrofo dal passato oscuro, e nell’idea di potersi far prete, sfuggendo e alla tentazione e alla convivenza forzata.
Il dramma di Elias ci coinvolge, ad ogni pagina ci si trova a compatirlo e allo stesso tempo quasi a disprezzarlo, per la sua mancanza di nerbo, per il suo eterno rinviare ciò che potrebbe risolvere la situazione. La sua anima si dibatte, incapace di rompere le barriere delle convenzioni sociali. Come non amare lo sguardo dell’autrice sui suoi personaggi, a scrutarne l’animo?
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