“E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto”
G. Pascoli

Il fragore del tuono, unito al maestoso bagliore del fulmine. I Great White rivelano le proprie intenzioni sin dalla copertina di questo disco. “Shot in the Dark” viene pubblicato nel 1986, un anno incredibilmente prolifico per l’hard rock e l’heavy metal, ed è il secondo lavoro per la band di Los Angeles. L’omonimo primo album non ha dato i risultati sperati, ma al secondo tentativo il gruppo fa centro. Certo non è il colpo grosso che altri faranno al loro posto, ma tant’è. Le dinamiche del music biz spesso sono incomprensibili. Resta il fatto che da qui in avanti, e per un buon lustro, i Great White sforneranno una serie di pregevoli dischi con buoni riscontri di critica e di vendita.

“Shot in the Dark” è a tutti gli effetti il meno blues-oriented di questi lavori e forse anche per questo il più personale. Una musica che sta nel limbo tra vecchio e nuovo, che pesca dalle sonorità seventies, ma allo stesso tempo le rende attuali. Un hard rock dalle architetture raffinate, una perfetta alchimia tra melodia ed aggressività. E’ subito l’irruenza dell’opener “She Shakes Me” a destare i nostri sensi intorpiditi, con il suo ritmo incalzante e il retrogusto stradaiolo. L’energia latente convoglia nei riff ondeggianti della seguente “What Do You Do”. In rapida successione il gruppo propone due cover. La prima è la meno conosciuta “Face the Day” dei The Angels, che verrà scelta anche come singolo promozionale del disco in forza del suo trascinante groove sporcato di blues. La seconda e decisamente più conosciuta “Gimme Some Lovin’”, dello Spencer Davis Group, viene presentata invece in una veste cromata e metallizzata decisamente originale. Giunti a questo punto l’ascoltatore potrebbe anche pensare che questo disco è si ben suonato, ma mancano quei brani che possono fare la differenza. Tranquilli, niente di più sbagliato, potete ricacciare quel pensiero alla sorgente. Perché i Great White, come i più navigati giocatori d’azzardo, sono pronti a calare il poker d’assi. Ed è il rombo di un tuono a introdurre la graffiante title-track, che con la sua ritmica serrata, condotta da un basso palpitante, accende la miccia di un’esplosivo refrain. Le tastiere, finora rimaste in seconda linea, cominciano a conquistare spettro sonoro dalla successiva “Is Anybody There?”. Una canzone dal ritmo cadenzato che offre i primi squarci di melodia. “Runaway” è invece un brano trascinante, che strizza l’occhio all’AOR, con i suoi fini arrangiamenti e un chorus accattivante.

A chiudere in grande stile il disco viene lasciata la struggente “Waiting for Love”, meravigliosa cavalcata che pone sugli scudi la voce potente e carica di pathos del frontman Jack Russell, ma anche il meraviglioso assolo del chitarrista Mark Kendall.

“Shot in the Dark” è il primo di una serie di gioielli hard rock che ci regalerà lo Squalo Bianco. Una band decisamente sottovalutata, ma sopravvissuta al tempo, ai problemi di alcolismo del proprio leader e ad un tragico concerto dove morirono un centinaio di persone. Ma questa è un’altra storia. Alle crudeli fiamme di quell’incendio preferisco decisamente l’ardente ricordo di quest’opera.

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