Greeen Linez è il nome scelto da Matt Lyne (cofondatore della Diskotopia) e Chris Greenberg per dare alla luce un progetto che porta le sonorità degli '80 aldilà degli usi (e abusi) che l'ultima decade ne ha fatto. Una sorta di ritorno alle origini che non può tralasciare quanto accaduto al sound di Detroit negli ultimi 30 anni. Il risultato è questo "Things that fade" che, al contrario di qualsiasi aspettativa, non si richiude in una mera operazione nostalgia. Sebbene alcuni episodi suonino come esercizi di stile e souvenir di un'epoca ormai passata, il tutto sembra trovare senso all'interno della logica dell'album (vedasi "Hibiscus Pacific" nel suo riprendere i suoni di una California alle soglie dei '90).

A farla da padrone in questo lavoro sono quelle sonorità prodotte dai primi sintetizzatori digitali messi in commercio (si noterà, già nell'iniziale "March 12th Street", l'uso di vecchi Yamaha DX7). C'è, però, molto più di un semplice gusto retrò in queste 12 tracce. Innanzitutto va notato come, aldilà di qualsiasi strategia ruffiana, si ritrovi un grande lavoro di produzione che regala all'album un caratteristico senso di equilibrio. Ogni composizione sembra sostenersi a mezz'aria, tenuta in volo come una piuma da un'ideale assenza di peso. Il tutto pare quasi voler far sfoggio di un'eleganza senza pari; senza dare troppo nell'occhio (tranne che nella più atkinsiana "Cubic Mentality"). A questo va aggiunto che, nel corso dei brani, non si può far a meno di notare un compendio di quanto detto dai synth negli ottanta: "City Cell 1" richiama addirittura sonorità proprie del filone new romantic. Forse tra le maggiori qualità di questo lavoro c'è il risalto dato a quanto degli '80 viene spesso dimenticato. Tracce come "Knowledge" (forse l'apice di quest'album) mettono in evidenza quanto tutto il trip-hop a venire debba a questa decade. Tutto l'immaginario legato a questi anni viene raccolto in "Things that fade". Difatti questo tuffo nel passato non può non portare con sé i difetti propri di quegli anni e, alla lunga, rimane un senso di artificioso che non ci lascia apprezzare del tutto quanto ascoltato. Accanto ad episodi di altissimo livello ("Palm Coast Freeway", "Courtside Daydreams") troviamo episodi meno riusciti stemperanti l'incanto che, indubbiamente, il progetto è capace di creare.

Forse un lavoro poco incisivo se paragonato a quanto detto in materia negli ultimi anni. Sicuramente, però, in grado di rendere giustizia e merito a chi ha reso possibile le successive evoluzioni. Una buona introduzione a quanto detto, nel bene e nel male, nell'epoca dei sintetizzatori a floppy.

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