Mai amato più di tanto il punk rock cosiddetto "californiano", eppure la variazione stilistica dei Green Day in "American Idiot" era riuscita a stupirmi. Non mi aspettavo che una band del genere avesse così tanto da dire una volta uscita dalla fase "adolescenziale" (e grazie al cazzo, c'hanno quarant'anni anche se sembrano di 15...) , eppure l'album in questione seguiva un concept abbastanza interessante e i testi erano, dove più dove meno, impegnati socialmente, talvolta attacchi diretti.

L'attesa per il nuovo album, sia da parte dei bambinetti neo-fan, sia da parte dei fan di vecchia data (che di certo per "American Idiot" avevano storto il naso), sia da parte della critica, era alta: "che cosa si tireranno fuori adesso?"... Ed ecco arrivata la risposta. Salta all'orecchio fin da subito un orrendo sound, fintissimo e freddo, che già molto male predispone all'ascolto. Eppure i più coraggiosi (ad esempio io) potranno provare ad arrivare fino all'ultima traccia. E scoprire che... Di idee ce ne sono davvero poche. Anche questa volta si lavora su concept e il disco è diviso in tre "capitoli", ma... stavolta il concept fa schifo. Tratta della storia di una coppia di innamorati che si muove attraverso i lustri e le illusioni di questo millennio. Wow. Come il singolo "Know your Enemy" preannunciava, le composizioni sono poco ispirate e spesso auto-citazioniste. Nonostante l'ispirazione "Beatlesiana" di alcuni, i molteplici pezzi in salsa acustica non dicono un bel niente, vedi "Last Night on Earth" su tutte.

Eppure, dobbiamo dirlo, il tentativo di rinnovarsi trasuda da alcune tracce dell'album, alternate ai classici pezzi pop-punk made in Green Day, ma capita raramente che la band scelga davvero di "pisciare fuori dal gabinetto" e di solcare strade nuove: capita su "Peacemaker" o "East Jesus Nowhere", che quasi quasi ricorda gli stereotipi di moltissimi pezzi del Manson: sono i soli due pezzi che salverei a stento di tutto 'sto polpettone... Essì, di polpettone si parla: ben DICIOTTO tracce che fanno apparire l'album INFINITO.

A nulla è servito il lavoro di un produttore storico come Butch Vig (sì, proprio quello di "Nevermind" dei Nirvana e di "Gish" e "Siamese Dream" degli Smashing Pumpkins), di questo album si salva poco o niente. La continua contraddizione tra la rabbia di chi vorrebbe "cambiare il mondo" (spesso ostentata) e la voglia di creare cori da stadio emerge eccome.

Tanta ipocrisia o uno sbandamento dovuto ad un inaspettato successo e a grandi aspettative?

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