Dopo quel guazzabuglio di generi quale era “Nimrod” vi sarete chiesti quale genere avrebbero intrapreso i giorni verdi: il rock, il solito pop punk, lo ska, le ballate acustiche?
Ebbene la risposta è in questo “Warning:”: il pop rock.

I fan più duri e puri comprarono l’album, lo ascoltarono storcendo il naso e lo cestinarono senza pietà e senza una ragione ben precisa: purtroppo dopo “Dookie” tutti hanno sempre aspettato un inutile “Dookie 2” (che c’è stato con lo scarso “Insomniac” n.d.r.), non rimanendo soddisfatti dei lavori successivi.
Comunque le 12 tracce corrono veloci, sono fresche, ingenue, e ci fanno passare 40 minuti piacevoli. L’album si apre con la title track, simpatica song dove prevale la chitarra acustica (è in tutte le tracce) e il ritmo non è decisamente punk rock. “Bloode Sex And Booze” invece ci ricorda “Hitchin A Ride” anche se quella era molto più ispirata e cattiva; il testo parla del sado maso: “io non oserò muovermi, per il dolore che mi provoca è quello di cui ho bisogno perciò fammi sanguinare…”. “Church On Sunday” è una canzone pop melodicamente spensierata, il testo invece è una promessa un po’ infantile: “se ti prometto di venire in chiesa la domenica, verrai con me venerdi mattina?”.
La prima vera sorpresa dell’album è “Misery”; scritta a sei mani parla della sfiga, che è capace di accomunare persone diverse; l’arrangiamento è in stile “folkloristico-western” soprattutto nell’intermezzo, è da ascoltare in campagna: rende benissimo. “Deadbeat Holiday” è una bella canzone malinconica che sforna una lirica ottimista; da notare come l’assolo sia molto simile a quello di “Times Like These” dei Foo Fighters. Invece “Hold On” si comporta al contrario: a dispetto dell’armonica allegra e del ritmo felice, il testo è una triste dichiarazione e un invito a non mollare mai.
Eccoci al trio fantastico di chiusura: “Waiting” è una delle più rockeggianti del cd ma lascia dentro una malinconia immotivata! “Minority” è senza dubbio la song che più ricorda i vecchi G.D., punk rock potente, distorsioni, ottimo per scatenarsi ma che in qualche modo non va troppo fuori strada rispetto all’ambiente dell’album.
La migliore traccia è la conclusiva “Macy’s Day Parade” che calca il solco di “Time Of Your Life” con qualche elemento in più che gli fa guadagnare il titolo di migliore canzone dell’album, e forse anche della discografia, dei californiani.

In conclusione è un album mediocre da ascoltare quando non si hanno troppi pensieri, quando si pensa solo al divertimento, o come sottofondo tranquillo in una festa estiva. Altra domanda: il successore imminente come suonerà?

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