Vivace e festoso "Gravity Talks" è un esemplare dimostrazione della validità dell'operazione del Paisley Underground nel ripescaggio dei motivi psichedelici dal decennio dell'amore.

Forse non tutti sapranno che il suddetto movimento musicale nasce all'inizio degli anni ottanta in California dai primi vagiti dei Three O'Clock del chitarrista italo-americano Matthew Piucci per poi inebriare altre punte di diamante del revival psichedelico quali i Dream Syndacate di Steve Wynn, i Rain Parade, i Thin White Rope, gli Opal, le Bangles ed appunto, i nostri simpatici Green On Red.

E' proprio Wynn che nel 1982 produce per la sua Down There il secondo EP della band dell'Arizona (che fa seguito a quello dell' anno precedente) fornendogli lo slancio definitivo per il debutto su LP l'anno dopo sotto l'egida della Slash.

Ed è un esordio in grande stile.

I quattro di Tucson non fanno nulla per nascondere le loro influenze ma riescono abilmente ad eliminare ogni pecca derivativa attraverso l' attuazione di un souno consapevolmente ispirato e in fin dei conti più che personale, prendono sì elementi ben riconoscibili dal vasto terreno della psichedelia e del folk-rock californiano ma li assemblano con grande maestria, li oliano accuratamente e li amalgamano in una maniera musicale che non può che destare ammirazione.

Dan Stuart alla chitarra riesce a stendere filigrane country-folk che non fanno rimpiangere i Byrds più sbarazzini ("Narcolepsy") e il Neil Young più sognante ("That's What You're Here For") senza mai dimenticare l' amicizia che lo lega al chitarrista-leader dei Dream Syndicate ("Deliverance"), fra l'altro qui presente in supporto con una, non meglio precisata nelle note, "long distance sage", in compagnia anche di Piucci.

Impegnato inoltre al canto il nostro dimostra fra l'altro in vari frangenti di essersi ripassato per bene lo squillante e potente stile del Van Morrison più garage, prima di procedere a rilassarlo lievemente ("5 Easy Pieces").

Stuart è la polpa del sound del gruppo, forse anche più della comunque lodevole sezione ritmica formata da Alex MacNicol (batteria) e Jack Waterson (basso), l'affidabile fusto da cui possono rigoglire gli agili rami del mirabolante organo del co-leader Chris Cacavas, la marcia in più dei Green On Red.

Elaborando una tecnica che aggiunge alle fantasie bandistiche di Manzarek la corposità e l'incisività di Al Kooper, Cacavas riesce a far impennare ogni traccia dell' album tramite pirotecniche disgressioni vertiginose, in grado di accompagnare il ritmo della band ("Over My Head") tanto come di esaltarsi in divertenti e strabilianti assoli psichedelici (la title-track "Gravity Talks"), capace di passare da escursioni spensierate a dolci, romantici e melodrammatici rintocchi pianistici ("Old Chief", "Brave Generation") con una facilità invidiabile, senza dimenticare che anche quando passa alla steel-guitar ed alla dodici corde gli arrangiamenti non perdono mai la loro luminosa leggiadria.

Sbarazzino, estasiante e vitale lo stile di Chris è il tratto distintivo del sound Green On Red, un dolce tocco che continua a dondolare nel cervello anche dopo l'ascolto, collante onnipresente, sale sempre in cattendra nel momento più opportuno, perfetto contraltare al suo co-leader.

Che i quattro abbiano classe si evidenzia nel fatto che il sound complessivo del loro roots-psichedelico rimane sempre coerente e unitario anche quando il ritmo si innervosisce leggermente, l' identità non viene mai soffocata, l' effetto è sempre quello di una tranquillità celata sullo sfondo di una chitarra un pò più distorta o di una voce maggiormente arroventata.

Incalzante, onesto, fresco e leggero, americano fino al midollo, "Gravity Talks" è un album per fischiettare e sorridere in faccia al sole, è il viaggio di quattro ragazzi dal deserto dell'Arizona alle coste Losangeline, mente sgombra, nessun nuvola in vista e solo una gran voglia di suonare, 'che tanto domani è un altro giorno.

Liberi!

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