L’arancione l’arancione!
L’energia febbrile dell’arancione, la sua instabilità, la sua vividezza, il tono straripante dell’arancione.
Figlio prediletto di Dei Maggiori, l’arancione. Frutto prelibato e succoso, generato e nutrito dalla luce chiassosa, lancinante e folle del giallo che si rapprende e si salda alla densa colata lavica del rosso, alla sua profondità metafisica, alla sua forza centripeta e ipnotica.
Granulosi synth analogici si irradiano nelle zigrinature del sound e vengono issati sulla tela dalla mano sferzante di Kowalsky; ambient afosa, sfuggente e cangiante in cui sintetici sciami, ronzanti e impazienti, impollinano i fiori di un prato al tramonto.
Riflessi accecanti di bronzi egizi cotti allo zenith, frecce primaverili che finalmente bucano il cielo piombato, la verità indiscussa del levar del sole.
Pezzi che bruciano nelle vene, brulicanti dettagli elettronici deformano e gonfiano sincopi di pianoforte attorcigliate a innumerevoli moods. Sovraincisi, sovraesposti e sottocutanei.
I rancidi umori delle cose, delle case e dei casi impregnano concentriche volute di vapori arancioni, arancioni come la punta dell’indice e del pollice di un rollatore di Mc Barren Nero.
Ambient che non riempie nessuno spazio, ma piuttosto lo spazio subisce le secrezioni sonore; un sudore creativo, imprevedibile e arancione, arancione come le maglie dei maestri olandesi dell’arte pedatoria del tempo che fu.
La mente è pronta e il corpo è vigile, ponti arancioni tra ciò che si sente e ciò che si può, fratture tra l’agire e il non agire, tra l’andare e il fermarsi; iati arancioni come la luce centrale dei semafori stradali.
L’arancione l’arancione!
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