Com’è difficile perdersi e poi ritrovarsi? Ma quanto è appagante.

Cinque anni nei quali non se ne sentiva più parlare, con retroscena di litigi e voglia di dedicarsi ad altri progetti, i Grizzly Bear riappaiono con un lavoro di altissimo livello.

Così simili a sé stessi (conoscendo bene i loro punti di forza) e ogni volta così diversi. E quelle canzoni, che più le ascolti, più scopri qualche sfumatura che ti era sfuggita.

Questo è ciò che personalmente ricerco sempre nella musica.

“Losing All Sense” potrebbe essere una di quelle che già ti pare di aver sentito e invece, quasi alla fine, parte quella svolta armonica assurda – “…just thinking, just thinking, it’s too late” – che ti porta davvero a pensare di aver perso il senso della situazione.

Se “Morning Sound” è il loro modo di fare pop, “Aquarian” è uno dei punti più alti del disco, dove ad ogni passaggio corrisponde un cambiamento di groove, di armonia e stile, all’interno dello stesso pezzo. “Systole” è la versione folk di una canzone degli Air.

Le voci di Ed Droste e Daniel Rossen si alternano e si fondono perfettamente come mai in passato e le armonizzazioni dei cori completano lo scenario surreale e inafferrabile, un loro marchio di fabbrica.

È la maturità stilistica che contraddistingue questo quinto album della band nata a Brooklyn, New York, ma separata dal 2012, con tre elementi trasferitisi sulla costa opposta.

Da questa instabilità i Grizzly Bear non vengono sbilanciati ma anzi, traggono un enorme potenziale creativo. Sanno dove portare le canzoni e sanno a quale velocità seguirne il flusso sonoro, senza perdersi, annegandoci dentro.

Ogni brano cattura un istante, il tuo istante, e sei tu a dover decidere dove rivolgere la tua attenzione.

“Four Cypresses” è un capolavoro per gli amanti del genere.

Living in a pile

Tangled in a pile

It’s chaos but it works

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