Esponenti del progressive inglese di seconda generazione, i Gryphon si formano nell'ambiente del Royal College Of Music di Londra e nel 1974, dopo appena due anni di attività, pubblicano il terzo album, "Red Queen To Gryphon Three", unanimemente considerato il loro capolavoro. La formazione del periodo è costituita dai tradizionali batterista (David Oberlé), bassista (Philip Nestor) e chitarrista (Graeme Taylor) e da due fiatisti, il flautista Richard Harvey (oggi rinomato autore di colonne sonore) e il fagottista Brian Gulland, i quali condividono l'impiego di un ulteriore strumento a fiato, il krumhorn, corno curvo tipico del Rinascimento.

E' proprio l'amore sconfinato per la musica medievale e rinascimentale che contraddistingue il gruppo e il lavoro in questione: esso raccoglie il retaggio del miglior progressive del precedente lustro e lo estremizza, proponendo quattro lunghi brani strumentali per oltre trentotto minuti di musica, in cui modernità (per il periodo) jazz-rock, folklore medievale e rinascimentale e qualche sentore di musica classica talora si alternano, altre volte si combinano.
E' un'opera sicuramente ambiziosa, formalmente molto ammirevole; in complesso si tratta di un lavoro ottimamente costruito, che non pecca di momenti di particolare suggestione, ma che tuttavia alla lunga risulta verboso, ardito, un pò pretenzioso nella sua continua ricerca di accostamenti tra epoche e stili diversi. Lo dimostra subito il primo brano, Opening Move: introduzione solenne alla Genesis, tema classicheggiante di pianoforte, sinfonie, progressioni crimsoniane per basso e chitarra distorti e un brioso intermezzo di fiati che funge da spartiacque, poiché poi il tema per pianoforte e le progressioni elettriche vengono ripetute per il resto della composizione con l'aggiunta di altri strumenti ed allucinanti effetti sonori. Analogamente, l'effervescente danza medievale che apre Second Spasm cede la staffetta a funambolismi degni dei Gentle Giant, per poi lasciar spazio a bizzarri giochi tra fiati e dopo ancora ad una marcetta in cui si intrecciano strumenti elettronici e classici (è ancora evidente la lezione dei Genesis); dopodiché i primi due atti vengono ripresi con la consueta aggiunta di strumenti.
L'impressione avuta finora è che il gruppo trabocchi di idee e soluzioni, ma l'album lascia piuttosto perplessi in fatto di spontaneità emotiva e desta ammirazione piuttosto per la preparazione tecnica dei musicisti. Non è un caso dunque che il pezzo più ragionevole e dunque migliore sia il terzo, Lament: dieci minuti di splendore prog, in cui apre un'eterea melodia moderna di chitarra acustica su cui prima si avvicendano con naturalezza flauto e fagotto, poi, quando cambiano gli accordi, subentrano delicati e melliflui arpeggi di chitarra elettrica; seguono quiete ma oscure elucubrazioni, che si trasformano poi in deliri free-jazz frammisti ad arpeggi classicheggianti di chitarra (evidente in questo caso l'influenza dei King Crimson); chiude il tema iniziale, riproposto dalle tastiere e poi ancora dalla chitarra acustica, sulla quale si dissolvo gradualmente il piano e il flauto. Infine, Checkmate è un supponente dispiego di mezzi, ancora più astruso e cervellotico, un'accozzaglia di sequenze sonore eterogenee tecnicamente molto ben strutturata ma ideologicamente molto free-form: anche in questo caso la sensazione è che i Nostri abbiano voluto impressionare per abilità e bravura anziché emozionare.

"Red Queen To Gryphon Three" è sicuramente consigliabile ai cultori del rock progressivo. Il resto del pubblico sarà probabilmente diviso tra ammirazione per le capacità tecniche degli autori e dubbi sul suo effettivo valore contenutistico. The Lament è comunque uno dei più bei pezzi del prog inglese e vale un punto in più. Per il resto, a voi la sentenza.

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