"The cost for recording Alien Lanes, if you leave out the beer, was about ten dollars." [James Greer]

L’estetica del talento sprecato lascia posto all’estetica dell’abbozzo e all’acustica familiare. Non all’incompiuto.

Perché essere professionali quando si può essere amatoriali? L’indigenza economica ha inaugurato il lo-fi. E liberato l’ascolto dall’ascoltatore per suonare alla pioggia che rimpalla sul vetro.

Siamo a Dayton, Ohio. Un raggio di sole trafigge le fabbriche di macchine agricole. Una sirena annuncia il cambio turno alla Wright-Patterson Air Force Base. Robert Pollard, maestro elementare, compie trent’anni e decide di incidere, a proprie spese, 300 copie di “Devil Between My Toes”. E seguiterà a registrare parossisticamente su occasionali quattro piste. Superando l’unico vero dubbio amletico: essere cazzuti o rompere il cazzo?

Garage rock, folk rock, punk e post punk con mani di pioggia, psychedelic pop.

Sdrucciolevoli, idiosincratici. Guidati dalle voci.

Un lato albionico empiuto di marcette dei Beatles, del sevizio part-time dei Television Personalitis e, ancora, di super singoli buzzcocksiani si scontra coi terzi e quarti Velvet, con gli occhi chiusi dei R.E.M., con l’idioma folle e deficitario dei Devo (sì, i connazionali distrassero Pollard dall’amore giurato in gioventù a Genesis, Yes ed EL&P).

L’uscita dai confini del circuito cittadino fu merito del settimo lavoro “Bee Thousand”, confermato, contestualmente al passaggio alla Matador, dalla insinuante spregiudicatezza di questo “Alien Lanes” (1995).

Vignette, miniature melodiche supportate da un finto senso di sperimentazione, chitarra grezza e sporca, basso wave, armonie vocali paradossalmente beatlesiane laddove l’impostazione è totalmente anti-Beatles, accenni psichedelici, testi ermetici, un quieto russare, un canto a pelo d’acqua di vasca da bagno, imitazioni di Michael Stipe, echi di Hollies emaciati, schitarrate pseudo-heavy (importante il contributo dato da Tobin Sprout), la possanza di una “Helter Skelter” interrotta da scampanellate acustiche; una trascuratezza dilagante estesa in direzione sempre più rock. Ventotto canzoni da un minuto e mezzo di media in un flusso di strana ma ferma coerenza.

Pollard si nasconde o si mostra appena come il gatto di Alice.

E ”clio clio pavoncella fa su e disfa”: "As We Go Up, We Go Down", "Game of Pricks", "Pimple Zoo", "Ex-Supermodel", "Strawdogs", “Chicken Blows", “My Valuable Hunting Knife” sono tutte ”raggi, preminenze, nascenza”.

Insomma: amabile idiozia o geniale sconclusionatezza? Oppure la loro sintesi e superamento?



I am breathing, yet I feel no sky
Things without wings have begun to fly
Unhitched trailers---I see trailers trail
From the well i pull an empty pail
Little man bleeding, little heart beating so
Evil speaker blow my circuits---oh no
Brothers, sisters---all transistors, you know
Father logic sometimes gets cosmic, you know


(Trad. Sto respirando, eppure non sento il cielo
Le cose senza ali hanno cominciato a volare
Rimorchi sganciati --- Vedo orme di rimorchi
Dal pozzo tiro su un secchio vuoto
Piccolo uomo sanguinante, piccolo cuore che batti così
Il cattivo altoparlante soffia sui miei circuiti --- oh no
Fratelli, sorelle - tutti transistor, lo sapete
La logica del padre a volte diventa cosmica, lo sai
)

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