(N. d. R. : anche questo scritto per il giornalino, forse vi potrà sembrare un po' sbrigativo -- le prossime recensioni le scriverò concentrandomi meglio, soprattuto su CD, in modo tale da poter dare qualche consiglio per gli acquisti). Leggete e commentare. E se vi pare lungo, scusatemi, sono come Bruckner forse? Troppo prolisso a volte! A presto!

Sabato 14 ottobre il Teatro Coccia di Novara ha ospitato un concerto organizzato dal Conservatorio Guido Cantelli della nostra città. Un concerto in memoriam Giulio Cesare Sonzogno, famoso editore di musica classica, scomparso a Milano nel gennaio del 1976; discendente dei famosi editori milanesi. Se da piccolo giocò con i figli di Arturo Toscanini, quando fu adulto poté collaborare con il Maestro e con numerose altre figure allora in vista in campo musicale. Sviluppò tra l'altro un precoce interesse per la composizione, che lo spinsero a comporre diversi lavori da camera e per Orchestra. Tra numerose liriche ("La luna e l'usignolo" e "La rose rouge", le più famose, inserite nel programma del soprano Maria Farneti nel 1932) spiccano due composizioni per Orchestra: i "Quadri rustici" che vinsero il premio di "Musica Radiogenica" di Venezia nel '32 e il "Tango" per grande Orchestra, che riconobbe grandissimo successo, e fu eseguito oltre che da Toscanini e da Leopold Stokovsky, anche da Richard Strauss. Seguirono poi alcune opere, commissionate da diversi teatri italiani ("Regina Uliva", "I Passeggeri", "Boule de suif", "Il denaro del signor Arne", "Mirra"). Ebbene al concerto sono state proposte al pubblico le due composizioni per Orchestra, i "Quadri Rustici" e il "Tango". "Quadri Rustici", composto di due quadri sinfonici per Orchestra al gran completo, è una composizione non di difficile ascolto, molto piacevole e leggera. Nonostante si respiri un'aria decisamente rilassata e piacevole (anche se non mancano momenti più impegnati) questa non è comunque assolutamente una composizione banale, ed ha riprova di questo basta ricordare che fu scelta fra 122 composizioni in gara al festival di musica di Venezia, dal quale uscì vincitrice, battendo composizioni di compositori allora (ed ancora oggi) famosi, del calibro di Nino Rota e Luigi Dallapiccola.

Ma assolutamente indicativo è il bellissimo "Tango" per grande Orchestra: ed è veramente una composizione corposa, molto (ben) costruita e di carattere; l'orchestrazione non delude, per orchestra sinfonia grande, tipica del novecento, arricchita non solo da un organico di percussioni ben fornito, ma da un organo obbligato e da una bella celesta. Carico di ritmo e di colore, specialmente nei passaggi destinati ai fiati, ai fortissimi del gong, ammaliante e misterioso, fino al fortissimo finale destinato a tutta l'orchestra che chiude questo piccolo capolavoro della musica italiana del 1900 in stile e bellezza. Il linguaggio sicuro non sembra essere influenzato da altri linguaggi, mantenendo una buona melodia intervallata ed arricchita dai numerosi strumenti. Un vero peccato che questa composizione sia oggi poco conosciuta.

Ed ora veniamo alle vere rarità: grande sorpresa per me nel leggere il programma, al concerto, ed accorgermi di una composizione in programma, che sinceramente non avrei mai sperato che esistesse: "Tema e Variazioni per Orchestra". Un titolo semplice, schietto. Ma il compositore è tutto un programma: Guido Cantelli! Adesso, io sinceramente prima d'ora conoscevo questa importante figura musicale, il "nostro" direttore, per la sua tristemente breve fama di direttore d'orchestra, ma mai avrei giurato che avesse composto. "Tema e Variazioni per Orchestra" fu la composizione con cui Cantelli superò l'esame di composizione al conservatorio: un'opera giovanile, evidentemente influenzata in numerose parti di sincero lirismo da autori come Brahms, particolare e piacevole in alcune variazioni, con grande predilezione nelle parti più vivaci e giocose per i fiati, questa composizione è piacevole e leggera, tipicamente giovanile, senza eccessivo impegno. Se l'orchestra è comunque abbastanza ben fornita, è nullo l'organico percussivo, composto solo dai timpani e da un bel colpo di cembali che chiudono la composizione.

Toccante la composizione di un altro compositore italiano del 1900 veramente poco conosciuto, Aldo Finzi. L'orchestra Sinfonica "Carlo Coccia" (diretta da Ma ha proposto di Finzi il suo ultimo lavoro per Orchestra, il suo ultimo poema sinfonico, che come gli altri, è fortemente debitore di un linguaggio musicale alla Richard Strauss, ma nettamente più semplificato e meno impegnativo, "Come all'ultimo suo . . . ciascun artista". Un lavoro di sconfinato lirismo, commosso e raccolto, con attimi più vivaci e vivi, segnati da un repentino risveglio delle percussioni sul fondo, con sembianze cavalleresche e scherzi melodici e tempi di walzer, sa essere molto equilibrato, e nonostante mantenga un tono pacato e sconsolato in molti punti, dall'inizio alla fine, grazie agli efficaci crescendo disseminati in più punti in tutta la composizione, questo poema sinfonico non annoia, anzi rapisce, rende partecipe l'ascoltatore delle colorate e sconsolate melodie, nettamente romantiche. E' una composizione di grande respiro, molto piacevole, con un bel finale, disteso e rasserenato.

Ha chiuso la serata una abile trascrizione libera per Orchestra dell'Adagio e Fuga per organo di J. S. Bach. Il 22 ottobre scorso l'Orchestra Verdi di Milano, di cui ho già avuto il piacere di scrivere un commento nello scorso numero, ha proposto ad un numeroso pubblico tre composizioni di tre autori diversi, tutti del 1900 melodico, ossia ancora un volta Shostakovich, ed il suo "Primo Concerto per violoncello ed Orchestra", Michail Glinka e il pezzo per Orchestra "Notte a Madrid" e la grande suite per grande Orchestra "I Pianeti" di Gustav Holst. Sul podio il maestro Josep Caballé Domenech.

Michail Glinka mi ha lasciato perplesso: sinceramente per quanto particolare e piacevole, non lo posso negare, la "Notte a Madrid" non mi ha colpito più di tanto; gusti personali, immagino, per una composizione, tra l'altro, influenzata dalla musica francese e spagnola del 1900, con i forti richiami percussivi dei tamburelli, un buon ritmo e numerosi tempi "danzanti" che le danno comunque un buon colore. Molto applaudito la performance del concerto per violoncello di Shostakovich. Già dall'inizio fortissimi i temi in Allegretto del compositore russo più famoso del 1900, con grande colore, in questa composizione più che mai Shostakovich rielabora temi folkloristici regalando al pubblico una composizione specialmente nel primo tempo carica di dinamicità e ritmo, un vivissima partecipazione orchestrale, che copre un pò il virtuosismo del violoncello solista. Un primo tempo vivo ed ostinato, in certi punti (specialmente quando sono i timpani a colpire in fortissimo, come anche nel finale) con tono quasi apocalittico, contratto, complesso. Una composizione che alterna momenti festosi  con attimi di profondo lirismo e raccoglimento. Una composizione molto "sinfonica" per la continua partecipazione dell'orchestra, quasi mai interrotta se non a dieci minuti dal finale. Un finale "Allegro ma non troppo" vede una brutale partecipazione dell'orchestra e soprattutto dei timpani col classico trattamento per questi che Shostakovich è solito adottare, e come aveva già fatto con il finale della VI sinfonia. Un finale in tono festoso ad ancora una volta molto impegnato ed intenso, incalzante, ed una efficace ripresa del tema del I movimento, variato, con movenze estremamente incalzanti grazie anche ai brevi e rapidi interventi da parte dei diversi strumenti nell'orchestra, febbrili.

Breve pausa: e nell'intervallo il palco si riempie di molti altri strumenti. Celesta, organetto, due arpe, maggiore organico di archi in generale, e cosi anche di fiati ma soprattutto gli ottoni, timpani di rinforzo, campane, grande gong, xilofono. Sono "I Pianeti" di Gustav Holst (), una delle più suggestive e famose suite musicali per grande Orchestra del 1900. Qualche pecca nell'esecuzione, ma certamente all'ascolto dal vivo non molto importante; non si può rimanere indifferenti ad un organico orchestrale così ben nutrito e disposto. D'altronde si avverte sulla propria pelle: ai fortissimi d'orchestra, i seggiolini tremavano! E' una delle mie composizioni in assoluto, e certo mi dispiace doverla liquidare in poche righe per ragioni di spazio! La Suite si divide in sette movimenti. Il primo "Marte, portatore di guerra" è un movimento allegro, incalzante, marziale e crudele, che si apre in pianissimo, e piano piano in un grande crescendo si aggiungono buona parte degli strumenti d'orchestra, fino al raggiungimento di fortissimi pieni e corposi; peculiarità di questo movimento è l'utilizzo rinforzato degli ottoni, timpani e del gong, che avvolge con un suono ampio tutte le imponenti sonorità. Un movimento crudele, violento, che ricorda moltissimo un brano estratto da una qualsiasi colonna sonora di un film di fantascienza che abbia spiccati interventi d'azione. Il secondo movimento è l'esatto opposto: "Venere, portatrice di pace". Tempo lento con sentimento, sereno ed estremamente pacifico; rari gli interventi delle percussioni, che vedono in primo piano i campanellini; la celesta interviene con il suo tipico ammaliante e particolare suono. Scherzo rapido e tenero quello presente nel III movimento, che vede come protagonista "Mercurio, il messaggero degli dei", fino al bellissimo "Giove, il portatore di gaiezza", un movimento allegro, pervaso da forte senso del ritmo, di magistrale strumentazione, con un tempo largo centrale solenne e nobile, di forte spirito inglese.

Arriva "Saturno, il portatore di vecchiaia", un movimento eccezionale in Adagio, con continua alternanza pianissimo-fortissimo, ed un finale con campane ed incisi d'arpa che arricchiscono il tema larghissimo e commovente. Si staglia dunque con forza il penultimo movimento, "Urano, il magico", di forti sonorità affidate ai timpani, xilofono e cembali. Poco prima del finale un fortissimo per tutta l'orchestra, arricchita dall'organo, divenuto celebre per la sua grandiosa imponenza; un movimento drammatico al pari del primo, ma più scherzoso, quasi un rivale musicale (ma con atmosfera più tesa e seria) di quell'"Apprendista Stregone" tanto famoso di Dukas. Il coro di donne nell'ultimo movimento "Nettuno, il mistico", coro fuori scena, del quale pervenivano le leggerissime voci (un coro volutamente poco udibile, che crea una fantastica atmosfera; un coro di coloritura, senza testo né niente, solo lunghe note di riempimento) - il coro quindi che appunto crea una riuscitissima atmosfera misteriosa e sospesa nel tempo, monumento al profondo silenzio dello spazio; e prima dell'intervento del coro, un discorso dell'orchestra relativamente lungo che crea attesa e ambiguità, un clima misterioso molto riuscito. Il mio movimento preferito? Forse, da Giove in poi!

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