Come accade per quasi tutti i dischi di progressive rock più insoliti e provenienti dai luoghi più remoti possibili e immaginabili, questo souvenir orientale (titolo di un pezzo del disco, tra l'altro) proveniente dal lontano Turkmenistan è stato scoperto dal sottoscritto navigando per gli sconfinati oceani porpora di ProgArchives... comunque sì, avete capito bene: Turkmenistan. Presente Borat? Più o meno da quelle parti, anzi, proprio sotto la gloriosa nazione del Kazakistan. Ad ogni modo, potete immaginarvi lo sgomento di chi scrive alla scoperta del fatto che anche in un simile posto, sperduto e dimenticato dal mondo (perlomeno occidentale), esiste del progressive rock. E che Rishad Shafi (scomparso poco più di un anno fa), non fosse stato per le autorità sovietiche (va ricordato che il Turkmenistan è stato parte integrante dell'ex-URSS), avrebbe potuto suonare con il ben più famoso Peter Gabriel, suo grandissimo estimatore, e guadagnarsi la fama che meriterebbe un simile mago delle percussioni di ogni tipo (fate qualche piccola ricerchina sul tubo se non siete disposti a credermi).
Gunesh è appunto la creatura del batterista Turkmeno Rishad Shafi, nato come gruppo vocale con musicisti di supporto provenienti dalla radiotelevisione statale, cui poi si aggiunsero musicisti più giovani che man mano resero il suono più moderno. Il gruppo partecipò a diversi festival musicali sovietici e divenne popolare, fino a pubblicare 2 dischi (un disco omonimo nel 1980 e "???? ?????" - guardando la Terra - nel 1984), che valsero da lasciapassare per numerosi concerti in Europa centro-orientale, Asia centrale e Africa.
La formazione si presenta come una piccola orchestra, la cui strumentazione comprende (oltre ovviamente a batteria e percussioni) strumenti tipici dell'Asia come sitar e dutar (liuto a 2 corde tipico di tutta l'Asia centrale), accanto a strumenti elettrici come chitarre elettriche, basso fretless, piano elettrico e sintetizzatori, strumenti acustici "occidentali" come tromba, trombone, sax, violino, più vari cantanti. Inutile dire che l'amalgama di suoni che scaturisce da questa fenomenale orchestrina-carovana è quanto mai eterogenea e sorprendente: musica tradizionale proveniente non solo dai deserti e dalle steppe del Turkmenistan, ma anche mugam azeri, musica caucasica, cantati "da muezzin", in arrangiamenti tipici del jazz-rock progressivo: qua e là affiorano ricordi di Mahavishnu Orchestra, Osibisa e perfino dei nostrani Area, ma il risultato è assolutamente unico e ha una sua personalità ben distinta. Il tutto suonato con la massima professionalità possibile e molta, moltissima passione, senza alcun tipo di virtuosismo fine a se stesso, e tenuto assieme dalle percussioni del maestro Shafi, poliedriche, magmatiche, ipercinetiche, sempre coinvolgenti e interessanti, e soprattutto mai banali o invadenti. Il disco ha inoltre il pregio di non cadere nella trappola tipica del genere: essere un freddo esercizio di stile. La tensione non cala per un secondo durante l'ora di durata del disco, e i pezzi sono di volta in volta tesi, vibranti, rilassati, solari, malinconici, misteriosi, maestosi...
Due ultime precisazioni per chi avesse paura di ciò che sta per trovarsi davanti: molto probabilmente, anche chi possiede un orecchio poco allenato per le lingue straniere che non siano l'inglese converrà il turkmeno (descritto spesso come una forma arcaica di turco) risulta essere una lingua estremamente gradevole e musicale, ovviamente dal suono estremamente esotico. Anche se, come il sottoscritto, di turkmeno non capite una parola. Per quanto riguarda la registrazione, non è sicuramente il meglio disponibile all'epoca, ma considerando il paese di provenienza dei musicisti, è sorprendentemente buona.
Un disco a cui non ho assolutamente paura di dare punteggio pieno e che consiglio vivamente a tutti gli appassionati di jazz e fusion con un forte sapore etnico.
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