Con questo album esordirono i Guns N' Roses, il 21 luglio 1987, nel grande panorama del rock mondiale. Vendette 33 milioni di copie in tutto il mondo e, la rivista americana "Rolling Stone", lo ha inserito al quarto posto nella lista dei cento migliori album d'esordio di sempre. Detto ciò, la risonanza cosmica di questo successo indiscutibile, non conferisce al prodotto discografico della band americana un attestato di qualità a priori. Dopo la travolgente creatività che ci fu negli anni '70, il decennio successivo, per lunghi tratti, fu decisamente cacofonico. Enzo Jannacci definì gli ottanta come "brutta musica fatta solamente con la batteria", Fabrizio De Andrè li bollò come una "interminabile odissea nello strazio", ed avevano ragione. E i Guns N' Roses, nel loro essere mediocri di talento, ne erano la maggiore rappresentazione. Le meteore più rumorose, fastidiose e tamarre del rock. Axl Rose, leader e frontman del gruppo, lo si ricorda per quel suo look da magazziniere in piena crisi esistenziale più che per le sue doti canore. Slash, chitarrista grezzo e grossolano e insopportabilmente incensato dai più, è passato alla storia per quella sua pettinatura da clochard post sbronza. "Appetite for Destruction" è un album fastidioso e trasgressivo a buon mercato, come tutta la discografia dei Guns. Batteria ovunque e a qualsiasi costo, sintetizzatori a manetta e il risultato è soltanto rumore, rumore e ancora rumore. Nel disco troviamo i brani più famosi della band come "Welcome to the Jungle", nato da una vicenda personale di Axl Rose mentre si trovava a Seattle con un amico, "Paradise City" che parte lenta per poi sfociare in un ritornello con una pessima sovrapposizione di cori e finire con una foga stile punk e "Sweet Child O' Mine" che inizia con un lisergico e improponibile assolo di chitarra per poi finire anche peggio; insomma, non smette mai di inebriare per pochezza. Quella della band america era una musica senza futuro che poteva avere, ammesso che ce lo avesse, un senso solo allora. Fragile allo scorrere del tempo, irrimediabilmente datata ora, figlia di un'epoca insulsa e leggera come quella degli anni'80. Una musica sdolcinata e lineare, totalmente vuota e per nulla da rimpiangere. Insomma, tutto da dimenticare, per chi l'ha vissuta.

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