Deve aver avuto proprio una giornata di merda Gus Black per intitolare così il suo quinto disco. Ascoltando queste dodici canzoni, lo si intuisce. E non deve essere stata una giornata soltanto.
Scuro, spettrale, introverso, a tratti cimiteriale, “Today Is Not The Day” è un esempio magistrale di folk in chiave noir. Sospeso tra Leonard Cohen e il Nick Cave delle “Murder Ballads” e di “The Boatman’s Call”, è un disco da ascoltare di notte, a luci spente, come controcanto di una sera solitaria, tra qualche bottiglia di vino e un libro in cui vive una propria minacciosa proiezione.
La voce del cantautore di Los Angeles è nera e profonda; sa di medicinali. Quelle delle due coriste che accompagnano costantemente i brani, come angeli custodi (o demoni?), sono inquietanti e ipnotiche. L’atmosfera del disco, però, non è teatralmente aggressiva, come si potrebbe desumere dalla copertina assai sbruffona, ma, al contrario, malinconica e dolce, o al più abissale, atarassica.
Solo un paio di canzoni vedono la presenza di percussioni. Tra queste, spicca “Love Is A Stranger”, vero gioiello dell’album, il cui arrangiamento insolitamente ricco per gli standard del disco (glockenspiel, organo, chitarra classica) le conferisce una pienezza e un’intensità davvero toccanti.
Altrove predomina la nudità: chitarra e voce, molto spesso, o poco più, con la trama intrecciata delle voci a intessere i pezzi. “Can We Talk About This Tomorrow?” snocciola agghiaccianti acredini quotidiane (“can we talk about this tomorrow, I’ve made plans to meet my assistant”) in due minuti di pura poesia; “Silent Films” si snoda attraverso un fingerpicking deliziosamente triste tra scene di luce e di depressione (“you come to the silent films ‘cause you can’t yet find the pills”).
È un disco quasi autistico, spento, paralizzato, che non conosce lo sfogo e la rabbia. Il tono di voce è sempre maniacalmente controllato, e gli arpeggi si mantengono puliti, solo leggermente patologici in alcuni pezzi (“Variations On A Theme Called Honesty”, “Hurrah Hurrah Hurrah, Hurray Hurray”, da brividi). La disperazione è fatta sedere e accarezzata col coltello.
Con certi dischi si entra in sintonia, così, senza una ragione. Soprattutto con i dischi della notte. Diventano dei compagni. Rifugi a cui si ha diritto. “Nella società contemporanea, una vita umana ha necessariamente uno o più periodi di crisi, di intensa rimessa in questione personale. Quindi è normale e giusto avere accesso, nel centro di una grande città, a quantomeno un locale aperto tutta la notte” (M. Houellebecq). E a un disco di Gus Black.
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