Il film che ha decretato il successo di Van Sant. Uscito nelle sale cinematografiche nell'ormai lontanissimo 1989, Drugstore cowboy affronta il tema della droga e della tossicodipendenza prima di film come Trainspotting, Requiem for a dream e Blow. Van Sant ci trasporta in un universo fatto di una follia "ordinata". Bob (Matt Dillon), aiutato dalla sua combriccola di amici non spaccia la droga, non è immischiato in giri "malsani" ma va direttamente al fornitore. La storia, ambientata nel 1971, ci porta nel periodo in cui le droghe ancora potevano essere acquistate in farmacia. Ma il tossicodipendente Bob non la compra, la ruba con vere e proprie rapine.

Il film in questione è in qualche modo "innovativo". Innovativo perchè il regista americano ci mostra la vita di quattro ragazzi che oltre alla loro "distruttiva abitudine" uniscono a questo vizio la criminalità. Così assuefatti dalla droga da lasciarsi distruggere la casa o addirittura relegare una madre a un ruolo degno degli animali. Innovativo poichè Van Sant decide in alcuni momenti di sdrammatizzare la vicenda: poliziotti che sanno ma non agiscono, superstizioni dei protagonisti abbastanza ridicole e soprattutto un'ironia di fondo neanche troppo celata.

Drugstore Cowboy si mostra subito come un'opera complessa, ma risulta nel suo scorrere un film con una trama solida e con alcuni colpì di scena posizionati in modo da non essere mai banali. I quattro protagonisti si drogano con qualsiasi cosa riescano a reperire e fuggono in continuazione dalle loro paure, dalla malasorte e da un poliziotto che cerca di incastrarli. In questo film Van Sant ci mette davanti ai pensieri dei protagonisti: non si limita a mostrarci le cose così come sono andate, ma ci immette nella mente di Bob. Egli vuole trasportarci nei meandri della sua "follia".

"Sono stato per molto tempo un tossicomane convinto". Van Sant ci da subito il quadro della situazione: Bob è stato un drogato "convinto" ma ha poi in qualche modo cambiato la sua condotta di vita. Prima di questa redenzione però il suo vivere senza emozioni lo ha portato ha rifiutare anche il sesso. Bob sceglie la droga, non sceglie la vita (non vi ricorda forse Trainspotting?). Il regista ci pone tutto sotto gli occhi con una naturalezza per alcuni aspetti sconvolgente: in Drugstore Cowboy non abbiamo pathos, tutto è grigio e privo di emozione. Perfino il rapporto con il nemico, impersonificato dalla polizia, è quanto di più glaciale si possa avere: pestaggi, insulti e quant'altro vengono accettati da Bob e dai suoi amici come qualcosa di inevitabile. Questo non ferma però la routine della droga, delle rapine, di una vita vissuta in bilico.

Serve quindi l'avvenimento drammatico a far cambiare idea, a far rinascere un barlume di dignità e buon senso. Quindi ecco il ritorno ad una vita normale, ecco il lavoro, ecco il rincontrare chi non si vedeva da tempo. Lo scrittore William Burroughs interpreta un drogato arrivato ormai al limite. Non è un caso se Van Sant ha scelto quest'interprete per il ruolo di un tossicodipendente: lo scrittore ha passato tutta la vita a drogarsi con conseguenti problemi di salute e debiti.

Gus Van Sant ha dato vita ad un film duro nelle tematiche, con un forte senso ironico ma girato in modo da non dare giudizi sulla realtà della droga in America. Egli ha trasportato sul grande schermo l'epopea dei drogati, di coloro i quali preferiscono la droga alla vita...

"Che lavoro fai adesso?"

"Faccio buchi..."

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