Dal reiterato ausculto della recente release del quartetto NewYorkese, basato essenzialmente su electric guitar, drums, contrabass & saxophone, si ricava vivida l’impressione che tra le pareti dello studio di registrazione costoro non riescano a canalizzare del tutto il potenziale spirito sovversivo/destabilizzatore rintracciabile nei loro torridi live-shows: come se talvolta fossero timorosi o inconsapevoli dell’ardente tizzone che cova tra le ceneri del proprio turbinoso calderone.
Nonostante ciò si può affermare che la quarta release in studio [quinta complessiva] contempli molteplici frammenti di sicuro interesse in special modo quando l’ensemble opta per una nerboruta commistione tra avant-jazz e rock disallineato ovvero quando le tumultuose dissonanze chitarristiche entrano in beata collisione con le altre e diverse spigolature (“A Little Anarchy Never Hurt Everyone”) formando un caustico unicum dalla malleabile ma solida struttura.
La dinamica costitutiva delle dieci tracc(i)e appare abbastanza standardizzata: ci si trova innanzi spigolosi crescendo caratterizzati da incipit placidi e pacati che con lo scorrere dei secondi s’accidentano sempre più tra asperità giammai del tutto cacofoniche e congestioni sonore di natura vagamente free.
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