"Ma che cos'è Pulp Fiction?" è la battuta ironica, volontariarmente o no, pronunciata da uno dei protagonisti, entrando in una stanza dove si è appena conclusa una doppia sparatoria.
Se questa fosse una di quelle recensioni a fumetti di Stefano Disegni vedremmo la medesima scena vista al cinema, con un ombra che si alza tra il pubblico e urla rivolto allo schermo "Eh magari!"*
Mi sono avvicinato al primo film di Guy Ritchie, credendo, no no anzi illudendomi, di trovarmi davanti ad un opera più personale, rispetto al fortunato "The Snatch".
Pensavo di avere le idee chiare: Guy vuole emergere e sfondare, gira un film indie ("Lock & Stock"), piace e vuole fare qualcosa di più realizzato, citando troppo "Pulp Fiction" ma con un cast di divi: ne esce "The Snatch".
Dato che "The Snatch" mi era sembrato carino, ero certo che "Lock & Stock" mi avrebbe coinvolto e piaciuto.
Guy Ritchie è un regista famoso ai più solo, se immeritatamente o meno non l'ho ancora deciso, per essere stato marito di Madonna, l'artista famosa ai più, meritatamente, per essere una cantante che ha avuto un successo economico inversamente proporzionae al suo talento.
Ma ecco qualche nota artistico-biografica: i genitori di Guy si separano, ha un fratellastro più vecchio, è dislessico e non ancora sedicenne viene cacciato da scuola per uso di droghe leggere.
Dopo aver girato un corto "Crime" dal titolo "The Hard Case" fonda col fratellastro una casa di prduzione, la "Ska Films", siamo tra il 1995 e il 1998.
Ed è nel 1998 che il buon Guy appena trentunenne esordisce con questa pellicola, una commedia gangsteristica se mi passate il termine, in una vivacemente fumettistica Londra, che vede per protagonista una combriccola di sconclusionati malviventi.
I nostri decidono di fare il colpaccio entrando nel giro delle partite clandestine puntando in società centomila "sterle", gli slang sono quelli che invecchiano più velocemente purtroppo, salvo poi perdere contro un potente boss locale; trovatisi debitori devono "raccimolare" cinquecentomila "sterle" entro una settimana.
In caso contrario, trovandosi debitori di un boss, vi lascio immaginare cosa rischiano.
Il film, secondo alcune recensioni che ho trovato online, ha ricevuto meritatamente buon successo di critica e pubblico: risulta quindi secondo molti recensori un film da tre stelle circa. Cosa su cui non sono d'accordo.
Nello svolgersi della vicenda si intrecceranno, o se preferite, finiranno col convergere, le vite e le azioni di altri protagonisti, ladri, rapinatori o venditori d'erba, apparentemente distanti dalla storia principale, in omaggio all tradizione post-moderna: che tende a ribaltare gli stereotipi e calare i personaggi in situazioni a loro inusuali ed inaspettate, per il cinema di genere, deformando le caratteristiche di base e imprimendo una connotazione grottesca.
Caratteristiche queste comuni a due film che hanno sicuramente affascinato ed influenzato i giovane Guy, e così come lui altri registi ancora e tutti noi sorpresi spettatori, "Trainspotting" di Danny Boyle e "Pulp Fiction" del prezzemoloso Tarantino.
Il primo per il ritmo, il secondo per i dialoghi (che poi, diciamola tutta, sono ripresi da Elmore Leonard) e le situazioni. Vedi ad esempio i due sicari che si comportano e ci vengono mostrati da Tarantino come due professionisti qualsiasi, due idraulici tanto per dire; ecco qui accade lo stesso: come il possente Vinnie Jones (Big Chris nella pellicola) che si aggira per Londra a pestare i creditori portandosi sempre dietro il suo Amato figlioletto (Little Chris, ovviamente), anche dal magnate del porno che è solito tenere vibratori in bella vista sulla scrivania, nulla di tutto ciò turba la sua coscienza di educatore, salvo sentire il suo bambino dire le parolacce, minacciandolo di smettere.
Questo aspetto del muscoloso scagnozzo interpretato da Vinnie Jones non ci è mostrato per intenerirci o mostrarci il suo lato umano, bensì semplicemente per dare forma a quelle situazioni dall'umorismo grottesco di cui dicevo sopra.
Tendenza all'epoca oltretutto di moda, perchè, oltre ai due film citati possiamo anche pensare ai libri di Chuck Palahniuk, che si basano su personaggi scorretti e storie dallo houmor nero.
Tutto questo potrebbe spiegare insomma il successo ai botteghini in Europa e America, ma a mio giudizio, non quello di critica.
Trovo molto belle le ambientazioni e l'attenzione per certi dettagli scenografici, però sicuramente il buon Guy eccede quando si tratta di utilizzare quelle tecniche all'epoca considerate innovative: lo split screen ( dividere lo schermo in sostanza) oppure il ralenty, troppo, troppo inflazionato quasi peggio dei giovani skeaters di Gus van Sant.
Questo eccesso finisce per appiattire il film, facendolo assomigliare troppo ad un videoclip.
Succede anche quando usa, in più e più parti del film, musica funky, proprio come tarantino, ma senza quell'atmosfera surreale che caratterizzavano fiati e grassi bassi nelle pellicole Tarantiniane.
Punti deboli emergono anche per quel che riguarda i protagonisti, ancora una volta poveri ma buoni, perchè ai nostri manca solo di abbattere la parete di una cucina e finirla mangiando pasta, e poi siamo a posto; per non parlare della voce fuoricampo, dal tono vecchio e ironico, utilizzata per introdurre i personaggi ad inizio film, che suona banale e retorica.
Discrete le interpretazioni degli attori: nessuno svetta e nesssuno risulta tanto pessimo quanto l'inopportuno Sting, che interpreta il padre di uno dei protagonisti.
Vanno citati i rocciosi Vinnie Jones (che si ripresenterà in un ruolo dalle medesime fattezze in "The Snatch"), calciatore manesco al suo esordio su pellicola, e Jonson Stathman (ex atleta della squadra inglese di tuffatori, partecipò alle Olimpiadi di Seul del 1988) anche egli scoperto da Guy, che dopo questo film si dedicherà agli Action movie indie.
Nonostante qualche bella scena ( la ragazza con il mitragliatore), e battute alle volte divertenti (anche se il voler essere brillanti a tutti i costi dei protagonisti dopo breve finisce col stufare) "Non vorrei che avvicinandomi un'orango mi tiri lì dentro e mi stupri", dice un perplesso Stathman indicando un cocktail dall'aspetto molto esotico, il primo film del buon Guy è un opera che prende troppo e da veramente poco, purtroppo.
"Lock & Stock" finisce col essere una semplice trasposizione, anzi variante, British di "Pulp Fiction", dove il regista usa la sua abilità per dirigere tutti gli eventi della storia verso una situazione tutto sommato favorevole ai protagonisti.
Emerge così un aspetto paradossale, Guy dà il meglio di sè come regista con generi che non l'hanno reso famoso, "Sherlock Holmes" (ma buona parte del merito va anche a Robert Downey), che non con quelli in cui mette in scena i personaggi che più ama: criminali sgangherati e piccoli delinquenti.
Ma in fin dei conti mi direte voi "Che ti aspettavi dal marito di Madonna?!".
Già che mi aspettavo?
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